“Ma chi te lo fa fare, fino a laggiù”, dice chi non capirà mai. “Tanto più che, la partita, in tv si vede anche meglio”, si permette di aggiungere qualche agnostico del calcio.
Chiariamo subito un punto. Allo stadio, non sono io che devo vedere la Roma: sono loro che devono vedere me.
Ok, certo, se riesco a capirci anche qualcosa è il massimo. Le emozioni sono più chiare, più definite, più “attuali”, in linea coi tempi. Oggi, a casa, senza l’HD non sei nessuno; ma io provengo da anni di Stadio Olimpico. Ricordo partite mitiche in cui, solo dopo aver gridato, abbracciato, gioito minuti e minuti per un gran gol, partiva il tam tam: “ma chi ha segnato?”. Una scommessa al buio, ad indovinare chi l’avesse buttata dentro, sotto l’altra curva, lontana e avvolta in una nuvola di allegri, densi fumogeni, risolta solo dalla sentenza definitiva del provvidenziale possessore di radiolina.
Insomma, tutto questo per dire che in trasferta non si va in prima battuta per noi; ma perché la squadra avverta che ci siamo. E poi, solo poi, per ritrovarci, insieme, a sostenere un amore profondo, viscerale e a tratti insensato, che ci unisce. La strada, i soldi spesi anche quando non ci sono, il sentire che ci metti del tuo per questa Roma, anche a scapito di altri affetti. Il credere che la tua dedizione si sommerà alle energie di chi scende in campo. E servirà.
Quindi “è lontano”, “si vede meglio a casa” sono argomentazioni prive di significato, quasi patetiche. Patetiche per noi che nelle partite in casa parcheggiamo comunque in trasferta. Per noi che da tempo ci sentiamo un pizzico indesiderati anche all’Olimpico. Che da bambini entravamo senza biglietto a vedere il secondo tempo, perché si aprivano le porte e si correva a vedere la Sud e poi, solo poi, si guardava in campo. Noi che cantavamo frasi terribili ma che – diciamo la verità – non abbiamo mai pensato di impugnare un cerino, prendere un treno e “dare fuoco anche a Torino”. Noi che magari non ci rendevamo conto di quanto le parole potessero essere violente, perché era un tempo in cui, a torto, non ci si badava.
Ma che oggi, a Roma, ci sentiamo anche oggetto di una attenzione fin troppo particolare. Non in toto, assolutamente, ma che a volte si spinge fino a dettagli magari non così significativi dal punto di vista dell’ordine pubblico, ma tanto da quello dell’espressione dei sentimenti e della goliardia; e che, forse, può rischiare di creare una frustrazione più strisciante, quotidiana e più pericolosa.
Insomma, va a finire che è più semplice, leggero andare in trasferta. Dove, da ospite, magari nessuno mi sequestra la sciarpa “Odio tutti” (che fa ridere, dai, è un’iperbole: lasciateci il gusto di un’iperbole!) e dove in ogni caso penseresti più a ragione di mettere in conto quella certa “cura” in più.
Resta il fatto che, oramai, una domenica ogni due, dopo aver litigato con chiunque, pure con addosso gli stessi colori, per un parcheggio, aver trovato posto nell’emisfero australe e arresi alla successiva multa e scarpinata notturna, ci ritroviamo per il Lungotevere a cantare tutti insieme – mai con così tanta ragione – “Maciniamo chilometri, superiamo gli ostacoli, con la Roma in fondo al cuor”. “IN FONDO AL CUOR!”
Ora o mai più. Di Francesco consegna le chiavi dell’attacco a Patrik Schick per la partita più importante di questo ciclo, perché la Roma è condannata a vincere. A Udine porta in panchina Dzeko, che quest’anno in campionato ha una media gol assolutamente insufficiente. L’allenatore ha caricato il giovane ceco per tutta la settimana e si aspetta una conferma dopo il gol e la prestazione in Nazionale, dove grazie a una sua prodezza la Repubblica Ceca ha vinto il derby contro lo Slovacchia e l’attaccante giallorosso è uscito dal campo tra gli applausi. A Di Francesco è piaciuto il carattere di Patrik in Nazionale, il gol in pallonetto è nato da un suo pressing decisivo a centrocampo, che ha provocato l’errore della difesa avversaria. Movimenti che il tecnico chiede sempre ai suoi attaccanti. Patrik considera quella rete la più bella della sua carriera. L’ex sampdoriano ha segnato cinque gol in Nazionale, di cui tre nelle ultime cinque partite. Ora Schick vuole dimostrare il suo valore anche in giallorosso. Dopo un anno e mezzo tra luci e ombre. Ma nelle ultime sei partite giocate da titolare è andato a segno tre volte, una media sicuramente migliore rispetto a quella di Dzeko. A Udine non sarà una partita facile, contro una squadra che ha cambiato allenatore e che deve conquistare i punti per salvarsi. Di Francesco si affida agli uomini più in forma.
VAI PATRIK. Di Francesco lo responsabilizza, si aspetta da lui il salto di qualità, da quando è tornato dalla Nazionale lo ha provato sempre da titolare. Per Patrik è un esame di maturità. Sa che per lui è una grande chance e vuole sfruttarla: «Mi sento molto bene, è un buon periodo. Non credo che nella mia testa si sia acceso un interruttore, è solo merito dell’allenamento e mi sento meglio dello scorso anno. Posso imparare tanto da Edin. Ognuno di noi vuole giocare, quindi una certa rivalità c’è perché in campo va solo un attaccante. Siamo molto amici però perché parla la mia lingua», ha detto ieri a Sntv.
DIPENDE DA ME. Stasera Schick potrà giocare da punta centrale, Di Francesco ha abbandonato per il momento l’idea di farlo giocare da esterno. Un ruolo nel quale Patrik non si è mai trovato a suo agio: «Non mi piace tanto quella posizione, ma nella partita contro il Barcellona l’anno scorso è stato tutto diverso. Mi sentivo benissimo, stavo lavorando per la squadra è il risultato è stato fantastico. Nelle prossime partite posso dimostrare cosa so fare ma dipenderà solo da me, da come giocherò e cosa farò. Vediamo. Il Real Madrid è un po’ in difficoltà, gli spagnoli hanno cambiato allenatore ma sono sempre il Real e quella di martedì è sempre una sfida di Champions. Sarà una partita bella per la gente e molto difficile per noi».
Non vuole distrarsi con le voci di mercato. Giura fedeltà alla Roma, ora è concentrato sulla nuova occasione giallorossa: «Ho sentito qualcosa riguardo alcuni interessamenti nei miei confronti, ma le mie idee sono chiare: voglio solo stare qua e dimostrare cosa posso fare».
A cominciare da oggi a Udine.
Ecco da dove si può iniziare con le ricerche:
- Germania Zweites Deutsches Fernsehen;
- Australia Special Broadcasting Service;
- Georgia Georgia Public Broadcasting;
- Irlanda Raidió Teilifís Éireann;
- Cipro Cyprus Broadcasting Corporation;
- Indonesia Rajawali Citra Televisi Indonesia;
- Croazia Hrvatska radiotelevizija;
- Austria Österreichischer Rundfunk;
- Birmania Myanmar National TV;
- Honduras Televicentro;
- Colombia Radio Cadena Nacional;
- Bosnia ed Erzegovina Radiotelevizija Bosne i Hercegovine;
- Cina China Central Television;
- Grecia Ellinikí Radiofonía Tileórasi;
- Ecuador RedTeleSistema;
- Finlandia Yleisradio Oy;
- Kosovo Radio Television of Kosovo;
- Lussemburgo Radio Television Luxembourg.
Va invertita la rotta. L’ Udinese si affida all’effetto Nicola per evitare la 7ª sconfitta nelle ultime 8, lo impone la classifica più deficitaria nelle prime 12 gare da quando i bianconeri sono stabilmente in A (1995-96). Poco importa se la Roma è uno degli avversari più indigesti, i friulani devono risorgere, anche se potrebbe andare bene pure il segno X. Ci credono tutti i bianconeri. «Serviranno grande attenzione e la massima disponibilità da parte di tutti – ha spiegato Nicola – L’errore non deve essere vissuto come una tragedia, ma come un percorso migliorativo. Voglio passione, attenzione, coraggio e consapevolezza. Ai giocatori chiedo di provare a migliorare il rendimento, di superare i limiti».
la roma. Sull’avversario è categorico: «La Roma è una delle squadre più forti, non avrà difficoltà a trovare giocatori importanti nel caso dovesse attuare il turnover. Ma siamo pronti a farci rispettare. Temerla? È un concetto che non mi appartiene. Non voglio che i ragazzi pensino al risultato, devono solo preoccuparsi di mettere in pratica quello che proviamo nel lavoro quotidiano». Poi si sofferma sui nazionali: «Ci sono alcune situazioni di cui tenere conto, ma per fortuna abbiamo uno staff medico molto preparato. Tutti sono rientrati con la grande voglia di aprire un nuovo ciclo. Ed è molto importante».
in campo. È più che mai top secret la formazione, un po’ per una questione d pretattica, un po’ a causa degli acciacchi. Di certo non ci sarà Barak, sempre alle prese con un problema alla schiena (era a Milano per un consulto) e che non è stato nemmeno convocato, idem Wague per problemi muscolari. Non sta benissimo nemmeno Lasagna, ma lui è importante come il pane e ieri Nicola ha cercato di ricaricarlo. «È un ragazzo fantastico che è arrivato in nazionale. Deve avere un ambiente a disposizione che sfrutti le sue qualità». Nel mezzo dovrebbero trovare posto Fofana, Behrami, Mandragora. E De Paul? Dovrebbe agire da mezzala e/o rifinitore.
Qui non si tratta del solito motto, giochiamo una partita per volta. E’ un appello accorato al carpe diem: «La partita di Udine è la più importante delle tre». Già, anche se le avversarie successive da incontrare all’Olimpico una dopo l’altra si chiamano Real Madrid e Inter. Eusebio Di Francesco sgrana gli occhi, serissimo, perché non è seduto dietro a una poltrona per provocare reazioni ma solo per ottenere azioni: «Nell’ambiente sento solo parlare del Madrid. E’ anche normale ma io la vedo diversamente. Non voglio alibi, né legati agli infortuni che pure ci sono né legati alla stanchezza dei tanti nazionali. A Udine serve una vittoria e stop». Sarebbe in linea con la tradizione, almeno recente: la Roma ha battuto l’Udinese dieci volte nelle ultime dieci partite.
CALI. Di Francesco non dimentica cosa sia accaduto alla Roma dopo le due soste stagionali: 2-2 contro il Chievo penalizzato, 0-2 contro la Spal che negli ultimi due mesi ha battuto solo lui. Per questo chiede uno sforzo a Kolarov, che pure non è al top: «Sarà al suo posto. A parte i lungodegenti la squadra sta abbastanza bene». Gli sarebbe servito De Rossi, gli sarebbe servito Manolas. Ma nonostante la struttura epiteriale di cemento armato non possono giocare: «Kostas spero di recuperarlo per il Real. Sente ancora fastidio alla caviglia. Daniele invece tornerà più avanti, o per il Cagliari o subito dopo». Quindi, considerando che il galoppo successivo di Plzen potrebbe essere affrontato a cuor leggero, con la qualificazione già in tasca, arrivederci a Juve-Roma. La logica gestionale è semplice: «In passato abbiamo accelerato certi percorsi di recupero, come per Pastore e Perotti. Siamo stati frettolosi. Stavolta non vogliamo rimettere in campo dei giocatori che non siano in condizione».
CONFERMA. E se si parla di giocatori in palla, come rinunciare a Patrik Schick? «Sì, partirà dall’inizio. Ha dato delle risposte importanti sia con la Roma che con la nazionale ceca. Anche negli ultimi allenamenti mi è piaciuto tantissimo, dimostrando di essere cresciuto». Non se ne prende il merito: «L’allenatore può trasmettere degli input, però poi è il calciatore a prendersi il suo spazio». E così Dzeko andrà in panchina per la seconda volta di fila: con Di Francesco non era mai successo. Turnover razionale. Ma il pallonetto vincente che a Schick ha regalato gloria in patria non c’entra. Qui da maestro di calcio, pungola il giovane virgulto: «Ne ho sentito parlare come se fosse un gol meraviglioso. In realtà è stato un tiro normalissimo, che potrebbe riuscire a chiunque. Un attaccante come Patrik può fare tante altri gol come questo. Gliel’ho anche detto e lui mi ha sorriso. Lo sa da solo, conosce il suo dna. La cosa importante, al di là dell’estetica, è che un centravanti segni, perché prende fiducia». Da qui la scelta di insistere, a dispetto delle gerarchie: Dzeko in campionato non partiva così male (2 reti in 11 partite) dall’ultima annata al Manchester City, verrà tenuto inizialmente a riposo in vista della Champions.
VELOCITA’. Degli avversari teme il debutto di Nicola («E’ un’incognita, nessuno sa come giocherà. E poi Davide è bravo»), la rapidità di Lasagna e le conclusioni dalla distanza di De Paul. Ma la Roma contro i contropiedisti se la cava bene: ha mandato 50 volte in fuorigioco gli attacchi altrui, meglio di ogni altra squadra di A.
Ieri mattina Di Francesco ha fatto l’ultimo test. Dopo una riunione in sala video, l’allenatore ha svolto un leggero lavoro tattico in campo. Marcano è tornato a lavorare con il gruppo. Andrà in panchina. Manolas non è stato convocato, come Pastore, Perotti e De Rossi. Ma mentre per gli ultimi tre non c’è nulla da fare neanche per martedì, Di Francesco spera di poter riavere il greco per la sfida contro il Real. I due dubbi che il tecnico si porta dietro riguardano la difesa e l’attacco. Dietro Santon ha recuperato da un leggero attacco influenzale che gli aveva fatto saltare l’allenamento di giovedì. L’ex interista è in ballottaggio con Florenzi, che è tornato un po’ affaticato dall’impegno della Nazionale contro il Portogallo. Se Santon non avesse avuto l’influenza che ieri gli ha lasciato un po’ di mal di schiena avrebbe giocato sicuramente, ma a questo punto Florenzi è in vantaggio. In attacco ieri Di Francesco ha provato Ünder. Il turco è tornato solo giovedì dagli impegni con la Nazionale, ma ha dimostrato di essere in buone condizioni fisiche. Kluivert ha fatto qualche allenamento in più con la squadra, ma se Ünder sta bene, a lui Di Francesco raramente rinuncia. Per completare l’attacco Shick sarà il centravanti, questa volta è sarà preferito a Dzeko, non è questione di turn over. A sinistra sarà confermato El Shaarawy, il capocannoniere giallorosso in campionato. Il modulo sarà ancora il 4-2-3-1.
SI RIVEDE KARSDORP. Lorenzo Pellegrini sarà ancora il trequartista, ha recuperato da un leggero risentimento al quadricipite accusato nei pochi minuti durante in quali è stato utilizzato contro il Portogallo. Alle sue spalle Cristante e Nzonzi, per fare una diga davanti alla difesa. La coppia centrale sarà formata da Fazio e Juan Jesus, a sinistra torna Kolarov, che ha recuperato ed è stato risparmiato dal ct della Serbia nella seconda partita della Nazionale. Tornano tra i convocati anche Luca Pellegrini e Karsdorp, che hanno smaltito gli infortuni. L’olandese era andato in panchina l’ultima volta in occasione della partita contro l’Empoli. Quest’anno solo due presenze, una da titolare contro il Milan e una manciata di minuti contro il Chievo. La sua esperienza in giallorosso non è molto fortunata. Lo scorso anno due interventi chirurgici e una sola presenza. A gennaio potrebbe essere ceduto in prestito per andare a giocare.
Ha provato, tra una smorfia e un sollievo. Un giorno benino, un altro malissimo. Ci ha provato a lungo perché alla partita contro il Real Madrid, se non alla trasferta di Udine, voleva in qualche modo partecipare. Ma il ginocchio non gli dà tregua. Avendo scelto, d’accordo con la società, di curarsi senza intervento chirurgico per non rischiare uno stop di due o tre mesi, Daniele De Rossi deve ancora aspettare prima di tornare in campo, conoscendo bene la diagnosi ma non ancora la prognosi definitiva.
Bisognerebbe ripulire il ginocchio infiammato, dove si annidata una cisti. E’ un problema che De Rossi, sempre in contatto con i medici di Villa Stuart, ha preferito gestire, in considerazione dei 35 anni di età e di una carriera che si sta avviando alla conclusione. Prima dello stop di Napoli, datato 31 ottobre, la situazione clinica sembrava sotto controllo. De Rossi anzi aveva giocato più minuti rispetto all’anno precedente, allo stesso punto della stagione. Forse è proprio per questo peccato, la generosità agonistica, che oggi non conosce con esattezza i propri limiti. Di Francesco ha stabilito il recupero a cavallo della partita di Cagliari (8 dicembre), quindi circa un mese e mezzo dopo l’ultimo urlo di dolore. E’ immaginabile che De Rossi venga tenuto a riposo anche per la trasferta di Plzen, auspicando che sia ininfluente ai fini della qualificazione agli ottavi di Champions, e che torni a indossare la fascia di capitano a Torino contro la Juventus, nella grande sfida prenatalizia dello Stadium.
Resta però un dato su cui tanto il giocatore quanto la Roma si stanno interrogando: il rinnovo del contratto in scadenza, fortemente desiderato dalle due parti, potrebbe essere rimesso in discussione a seconda degli eventi. Era stato proprio De Rossi, prima dell’inizio della stagione, a rimandare ogni discorso al 2019, chiedendo a se stesso di provare la propria resistenza fisica. Se dovesse rendersi conto che i suoi acciacchi gli consentirebbero di recitare solo un ruolo secondario, nella Roma o altrove, sarebbe il primo a farsi da parte.
STRATEGIE. Intanto, però, il mercato di gennaio incombe. E Monchi non può che intervenire consegnando un nuovo centrale di centrocampo a Di Francesco: a parte il sogno Rabiot, che difficilmente si sposterà a metà stagione, e il difficilissimo obiettivo Ceballos, sul suo tablet restano impressi i nomi di Herrera (Porto) e Samassekou (Salisburgo). Anche De Rossi e Nzonzi apprezzerebbero un po’ di riposo in più.
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