L’uomo è appena sceso da un’Harley Davidson. Una quarantina d’anni, brizzolato, mascherina al braccio, indossa il gilet di pelle dei veri biker. È incuriosito dalla coppia con fotografo. Lui è un volto familiare. Questione di poco, prende il telefonino e inizia a parlare in tono concitato.
Poi si avvicina e chiede conferma del sospetto: «È il professore?». Fabrizio Pregliasco sorride e annuisce. Il biker porge il telefono: «È mia moglie. Lei non vuole fare il vaccino. Io l’ho fatto, ma lei non vuole. Glielo spieghi lei, per favore». Seguono dieci minuti di conversazione. «Mi dia retta, lo faccia signora», conclude Pregliasco restituendo il cellulare all’uomo che, soddisfatto, torna alla moto. E noi ricominciamo a scattare le foto che vedete in queste pagine. Fabrizio Pregliasco come un vip? «Spero di no», si schermisce. «Certo ora capita che mi fermino e chiedano un selfie».
È da un anno e mezzo, dall’inizio della pandemia, che Gente lo intervista: la pericolosità del virus, l’andamento dei contagi, i soggetti a rischio, le cure, i vaccini allo studio, quelli approvati, le controindicazioni, le nuove ondate, le varianti… Proprio come nel consulto telefonico di qualche minuto prima, sia con Gente che con uno stuolo di Tv e giornali d’Italia Pregliasco è abituato a rispondere alle domande più banali: «Il mio mestiere è anche fare comunicazione, spiegare in maniera equilibrata e sottolineare che la velocità della ricerca non è quella di voi giornalisti che vorreste una novità ogni volta», sorride sornione. Ora, come si fa con gli amici più cari, Gente è andato a trovarlo a Sarentino, nei pressi di Bolzano, dove il professore si è concesso qualche giorno di vacanza.
E lui ci parla “senza camice”. Dunque. Pregliasco, 61 anni, figlio di un quadro della Montedison e una casalinga, padre di due figli (Paolo Vittorio, 30 anni, e Federico Aldo, 27), è direttore sanitario all’Istituto Ortopedico Galeazzi di Milano, ricercatore e docente di Igiene generale ed applicata all’Università degli Studi di Milano, presidente dell’Anpas (Associazione nazionale pubbliche assistenze, quelli che noi definiamo volontari delle ambulanze, 950 “Croci” in tutta Italia). Come è diventato “il virologo”? «Non era il mestiere che pensavo di fare», confessa. «Ho il diploma di perito chimico nucleare e mi ero iscritto a ingegneria; qualche settimana prima dell’inizio dei corsi ottengo una borsa di studio alla facoltà di Medicina come tecnico di laboratorio e cambio università laureandomi in Medicina con specialità in Igiene e medicina preventiva e una seconda in Tossicologia».
Da quando aveva vent’anni, però, Pregliasco è impegnato con i volontari delle ambulanze di Rho, vicino a Milano dove vive da sempre. «È la mia vera passione», confessa. Conciliare tutto sarà complicato: una giornata tipo? «Non esiste. La sola certezza è la sveglia alle cinque e un quarto per essere in ospedale un’ora più tardi. Poi tutto cambia in funzione delle riunioni, delle lezioni in università, dell’attività di laboratorio e degli impegni con l’associazione».
Ma così si arriva a sera e «…e ci si addormenta a tavola», interviene Carolina. Carolina Pellegrini, 59 anni, impegnata politicamente e socialmente, è la sua compagna da 18 anni. Galeotto fu il Rotary. «Votò contro il mio ingresso, ma restò in minoranza », ricorda con soddisfazione lei. Carolina e Fabrizio si conoscevano da tempo ma la scintilla non era mai scoccata. «Mi ha conquistato la sua professionalità, semplicità e umiltà». E ora? «Siamo complici.
Lui non è un invasato del lavoro, quando gli parli capisci che legge di tutto, anche il gossip. Rispetto la sua grande onestà intellettuale anche se non esito a dargli del… (bip) quando penso che con certi comportamenti corre il rischio di essere strumentalizzato». È a lei che bisogna rivolgersi per tentare di comprendere chi sia veramente Pregliasco. «Ha una passione smodata per il bricolage ed è precisissimo.
È anche estremamente ordinato: per esempio, dopo aver fatto la doccia lascia sempre il bagno in perfetto ordine, cosa strana per un uomo», rivela sorridendo. Non a caso a farlo arrabbiare, ammette lui, sono gli automobilisti che in autostrada occupano la corsia centrale pur avendo la destra libera. Difetti? «Non aiuta in casa e non sa cucinare neppure un piatto di pasta, ma soprattutto si ostina a non voler capire che ha una certa età e che si stanca molto: dovrebbe rallentare un attimo. Dice che sono insopportabile quando glielo ricordo, così come quando gli rammento che non dovrebbe mangiare salumi e formaggi di cui invece è ghiotto».
Lui annuisce silenzioso, abbozza un «ma ne mangio pochissimo» e ricambia la rivelazione privata con un altro dettaglio del ménage familiare che ci porta subito a ricordare la coppia Mondaini-Vianello: «Ogni sera si consuma la battaglia del condizionatore: vince chi si addormenta per ultimo e può regolare la temperatura, massimo 21 gradi per me, almeno 25 per lei». Ma “gatto”, come lo chiama lei, è protettivo: durante la notte controlla spesso l’orologio, così da non far suonare la sveglia.
Peccato che Carolina, Caru, abbia il sonno leggero. Forse quando finalmente saremo vaccinati tutti potrà svegliarsi più tardi. «Ma guardi che la mia vita non è cambiata, è solo un po’ più intensa», risponde tornando a parlare di Covid, tema finora rimasto ai margini del colloquio con Gente. Ricorda il “primo incontro”: «In ospedale arrivavano pazienti da Bergamo senza sosta. Avevamo la camera mortuaria piena e io stesso con alcuni colleghi spostammo le bare nella cappella: non lo dimenticherò mai». Oggi? «Non arriveremo all’immunità di gregge.
Dobbiamo pensare al Covid come a un sasso nello stagno: i cerchi che si formano sono come le ondate della pandemia, le prime più evidenti, e poi via via più leggere», semplifica. Però poi scompaiono. «Ogni giorno 10 persone si ammalano di Hiv ma abbiamo perso la percezione del pericolo della malattia. Anche con il Covid dovremo convivere ». E quindi servirà una terza dose? «Il virus sta cambiando, le ultime varianti hanno “imparato” anche ad attaccare i più giovani, per questo è importante vaccinarci, per tagliargli la strada e ridurre i contagi. Noi vediamo solo la punta di un iceberg enorme fatto di casi banali che si aggravano in funzione dell’età e di altre malattie di cui si soffre». Neppure un po’ di ottimismo? «In cantina ho una bottiglia di champagne, pronta per essere stappata quando ne saremo fuori».
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