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La prova del nove, senza il nove. Se una sintesi si può tirar fuori, da questa Befana nerazzurra in cerca di dolci e caramelle, è un’Inter che prova ad andare oltre se stessa. Mica semplice, il piano: la nona vittoria consecutiva, l’operazione sorpasso da mettere in atto sul Milan, il tutto senza l’uomo che le vittorie se le porta da casa, che le costruisce, l’architrave dei sogni. Romelu Lukaku c’è ma non c’è. Va in panchina, perché gli esami hanno esclusi lesioni muscolari alla coscia destra, pronto a dare una mano se dovesse servire a partita in corso. L’attaccante ha dato la disponibilità a esserci, dopo un colloquio con l’allenatore ieri pomeriggio. Ma non c’è la minima voglia di rischiare, anche ragionando sul calendario.
Ecco perché la buona notizia riguardante Lukaku è più in ottica Roma (e Juventus poi). Oggi gli uomini di Conte dovranno arrangiarsi da soli. Senza il signor «mezza squadra», quante volte si è detto così parlando di Romelu a proposito dell’Inter. È proprio vero, lo dimostrano i numeri. Quelli dei gol, certo. L’attacco nerazzurro ne ha segnati 40, nell’Europa che conta solo il Bayern ha fatto meglio. Bene: di quelle 40 reti, 20 portano la firma – diretta e indiretta – del belga. Nel conto vanno messi i gol, gli assist ma anche le partecipazioni attive alle marcature, ad esempio le aperture per l’uomo assist o le giocate in avvio di azione che apre la possibilità di andare al tiro.
Ecco: oggi Conte dovrà appoggiarsi all’altra metà del cielo nerazzurro, alle altre…20 reti. Senza Lukaku l’Inter suda, fatica, non sempre vince: un solo successo su quattro partite, in questa stagione, tra Serie A e Champions. Genova è un incrocio temporale significativo: prendersi i tre punti nel pomeriggio vorrebbe dire mettere anche un po’ di pressione al Milan che poche ore più tardi affronterà il Milan a San Siro.
Come riuscirci? Con Sanchez, questo è l’indirizzo preso da Conte. Il cileno più di Perisic, che pure non era dispiaciuto nell’ingresso in campo di domenica contro il Crotone. Il Nino torna titolare dopo quasi un mese – ultima presenza a Cagliari il 13 dicembre – e ha un paio di compiti grandi così. Il primo, il più scontato: non far rimpiangere il signor «mezza squadra». Il secondo: cominciare a dare continuità nelle prestazioni, a maggior ragione in un mercato che difficilmente a Conte regalerà una quarta punta, come da richiesta del tecnico. E questo significa che Sanchez dovrà aumentare anche la sua produttività in termini di gol: siamo fermi a quota due, segnati a novembre tra Torino e Sassuolo.
L’operazione sorpasso parte da lontano. Approda al 6 gennaio, ma comincia il 22 novembre, la prima delle otto vittorie consecutive nerazzurre: da quel giorno l’Inter ha recuperato quattro punti ai rossoneri. La freccia è lì da un po’, l’Inter è in corsia di sorpasso, Conte è riuscito a costruire un patto scudetto sulle macerie dell’eliminazione europea post Shakhtar. Ha scelto gli uomini per andare alla guerra, con scelte drastiche, leggi l’accantonamento di Eriksen. Ha optato ormai per un turnover adesso assai più limitato che in passato. Dal Crotone a oggi cambiano solo due uomini. Il primo per necessità, Lukaku appunto. Il secondo…anche, perché concedere ancora una maglia a Vidal dopo la strigliata pubblica (e anche privata) del post Crotone avrebbe avuto quasi il sapore del controsenso. E così Arturo parte in panchina: dentro Gagliardini e altra battaglia in vista. E la tendenza sarà sempre più accentuata da febbraio in poi, quando per le altre inizieranno gli impegni di coppa e l’Inter potrà invece lavorare con una settimana libera. «Io chiedo tanti ai miei calciatori, lavoriamo per l’eccellenza», ama ripetere Conte. E l’eccellenza non ammette alibi, neppure quando manca Lukaku.
Dalla lotta salvezza in Serie D passando per i due trionfi in Coppa America, veder materializzare Maicon domani pomeriggio a Malpensa darà concretezza nella realtà a una delle storie dell’anno: finirà la stagione con il Sona, neopromossa partita per salvarsi nel Girone B di Serie D, adesso fuori di un punto dalla zona playout, orgoglio dell’omonimo paese di 18mila abitanti in provincia di Verona a metà strada con Peschiera del Garda, dove il brasiliano avrà casa, vista Lago, a un’oretta e mezzo da Milano. Affare annunciato un mese fa, è arrivato il momento di crederci. Maicon aveva lasciato l’Italia quattro anni e mezzo fa ma non ha mai smesso: dopo le tre stagioni alla Roma aveva continuato a giocare in Brasile. E, a 39 anni, il terzino da leggenda col nome ispirato a Michael Douglas, storpiato in Maicon dall’anagrafe, non ne vuole sapere di fermarsi, come quando partiva sulla fascia, corsa dribbling e cross, miglior laterale destro della sua generazione: con l’Inter 4 scudetti, 2 coppe Italia, Champions e Intercontinentale 2010 da protagonista, ma anche 76 gettoni in verdeoro con i successi 2004 e 2007 in Coppa America e quelli del 2005 e 2009 in Confederations Cup 2005 e 2009.
Il gancio è Thiago De Souza, connazionale con un passato da professionista di calcio a 5, di stanza a Verona dove parallelamente alla sua attività fa l’osservatore per il Sona, nelle cui giovanili arriverà Felipe, il figlio 15enne di Maicon, che ha ancora interessi personali in Italia e dopo la fine della stagione in Brasile si è detto « perché no?». Da Mancini a Mancini, in patria giocava per il Vila Nova Futebol Clube dell’ex compagno Amantino, mentre in Italia – dal Monaco – ce l’aveva portato Roberto, allora all’Inter, che poi lo volle al City, suo approdo dopo le 249 presenze (20 gol) con cui è stato protagonista verissimo dell’epoca d’oro nerazzurra del nuovo millennio. A volte ritornano. Una grande storia. Anche per le stories dell’ex compagno Balotelli, che sui social gli ha subito dato il bentornato. Ed è già 2010.
A più inglese tra gli italiani, Sir Claudio e Antonio si abbracceranno con rispetto, da bravi gentleman. La staffetta di Claudio Ranieri e Antonio Conte da campioni della Premier 2016 e 2017 è materia viva negli almanacchi del football. Quel doppio successo nel campionato più duro ha cambiato il calcio inglese e, soprattutto, ha unito loro, eroi delle due panchine. Claudio Ranieri è diventato il termine di paragone di qualsiasi miracolo sportivo: pensi che un’impresa sia impossibile, poi ti ricordi del piccolo grande Leicester 2015-16. Antonio Conte gli strappò lo scettro l’anno dopo con un Chelsea in ricostruzione, inferiore alle altre grandi. Importò un calcio fatto di coraggio e calore: i tifosi di Stamford Bridge andavano pazzi per quei tuffi di gioia verso di loro.
Ranieri arrivò a Leicester già 64enne, sembrava percorrere malinconicamente l’ultimo pezzo di strada verso la pensione. E invece si scoprì condottiero, un sovrano nella terra dei re. Dal sinistro da giocoliere di Mahrez alla ferocia di Vardy, forgiò un gruppo di un acciaio mai visto prima. Uno schiaffo a ogni utopia. Se Sir Claudio aveva da sempre mostrato uno stile british, solo da allora è diventato un riferimento globale per le élite del pallone. Conte attraversò la Manica nel 2016, subito dopo la ferita dell’Europeo in Nazionale, e per primo chiamò il vecchio amico: chi meglio di Ranieri, fresco di titolo, poteva dargli consiglio? Dopo una batosta iniziale con l’Arsenal (3-0), il collega da Leicester lo difese in pubblica piazza: «Dategli tempo… ». Da lì 14 vittorie nelle successive 15, che lanciarono il Chelsea alla conquista del titolo: fasce avvolgenti, ritmo frenetico e un centravanti formidabile come Diego Costa a condire il trionfo. Quando a fine febbraio Ranieri venne incredibilmente esonerato, Antonio disse tre parole in croce: «Sono molto triste». Due mesi dopo se lo ritrovò in visita al centro di Cobham per un piccolo aggiornamento professionale, non l’unico. Anche qualche anno prima il tecnico romano era andato a osservare dal vivo, a Siena, i metodi del giovane collega. Del resto, lo ammirava da giocatore: da tecnico della Fiorentina lo avrebbe voluto strappare alla Juve. Nell’estate 2019, lasciando la panchina giallorossa, Claudio provò pure a far da sponsor: «Da tifoso vorrei Antonio come allenatore della Roma», ammise. L’interessato apprezzò, ma alla fine scelse Milano.
C’è un anello che congiunge il Leicester campione 2016 e il Chelsea 2017: Conte mise nel motore la stessa benzina usata da Ranieri. L’acquisto di Kanté, già decisivo nell’impresa della stagione prima, è stata una delle chiavi anche per Conte. Di certo, l’innamoramento del tecnico salentino per il mini-francese col turbo nacque in quei mesi e non si è mai spento. Quest’estate all’Inter avrebbe voluto Kanté sopra ogni cosa, ma ora i rubinetti chiusi dalla Cina rendono quel sogno irrealizzabile. Dopo il Chelsea Conte è diventato sempre più un allenatore- manager, da panca e scrivania, e in Inghilterra sogna prima o poi di tornare. Intanto, ieri Ranieri si è portato avanti con i complimenti: «Conte è un ragazzo sincero, l’Inter ha il suo carattere, è volitiva e determinata e si sta costruendo per vincere in Italia e in Europa», ha detto. Oggi accanto a Keita ha un grosso dubbio, schierare Quagliarella o Ramirez, ma dopo la partita c’è solo una certezza: abbraccerà di cuore il vecchio amico. Sarà quasi l’ora del tè, of course.
Un mercato a costo zero ma ricco di idee. Quelle abbondano nella testa di Beppe Marotta, Piero Ausilio e Dario Baccin. L’Inter attende l’occasione, ben sapendo che la sessione gennaio sarà una piccola guerra di logoramento. E il club nerazzurro, a causa del diktat di Suning, ha ben poche carte da spendere. In tal senso, come sottolineato dall’ad prima della partita con il Crotone, andranno abbassati i costi operativi, quindi il monte ingaggi. E l’Inter, dopo aver lasciato andare Nainggolan, punta a fare lo stesso con Christian Eriksen e Andrea Pinamonti.
Mentre Eriksen – una volta tramontata sul nascere l’ipotesi Psg – guarda alla Premier (ma per ora non sono arrivate offerte, neanche per un prestito), per Pinamonti si è fatto avanti l’Eintracht: nel caso in cui i tedeschi volessero passare dai sondaggi ai fatti, l’Inter potrebbe anche pensare di cedere il centravanti con una formula che possa andare incontro alla controparte (prestito con diritto che diventa obbligo a determinate condizioni). Le opzioni italiane portano invece solo al prestito, con Crotone capofila e Benevento a ruota: scontato che l’Inter chieda che l’ingaggio da qui a fine stagione sia totalmente a carico della controparte. Restando in tema centravanti, nonostante sia stato offerto, al momento non rientra nei piani nerazzurri Graziano Pellè che vuole tornare in Italia dopo l’esperienza allo Shandong Luneng. Piuttosto l’Inter è caldissima su Arek Milik, primo obiettivo per l’attacco, ma alla voce svincolati: postilla alquanto importante, visto che il Napoli e l’entourage del polacco stanno lavorando per trovargli subito una sistemazione (costo del cartellino, 15 milioni). Marotta, nel caso in cui Milik decidesse di stare fermo per tutta la stagione, sarebbe pronto a sfidare la Juve per assicurarsi il possibile erede di Lautaro Martinez o, nel caso in cui l’argentino dovesse restare, un attaccante più funzionale rispetto ad Alexis Sanchez che, pure in questa stagione, ha mostrato una fragilità preoccupante, come sottolineato pure dallo stesso Conte.
Per questo motivo all’Inter un attaccante serve subito e, giorno dopo giorno, crescono le quotazioni del Papu Gomez che all’Atalanta vive da separato in casa. Diversa la situazione di Gervinho che il Parma avrebbe forse ceduto però solo se la classifica fosse stata un po’ meno deficitaria. Percassi valuta l’ormai ex capitano 10 milioni che l’Inter deve provare ad ammonticchiare grazie alle contropartite tra i giovani di sua proprietà. Gli ottimi rapporti con la famiglia Zhang aiutano a essere ottimisti, certo è che i tempi dell’affare non possono essere rapidi perché prima Marotta deve giocoforza piazzare Pinamonti e soprattutto Eriksen, il che – visti i chiari di luna all’orizzonte – non si prospetta un compito affatto semplice. L’Atalanta, dal canto suo, ha necessità di risolvere alla radice quello che potrebbe diventare un problema a lungo andare, soprattutto se i risultati non dovessero più essere un formidabile scudo dalle critiche per Gian Piero Gasperini. I nomi su cui si può ragionare sono essenzialmente tre: quelli di Sebastiano Esposito (che alla Spal non sta trovando spazio), Gaetano Pio Oristanio e soprattutto di Lorenzo Pirola, posteggiato al Monza in attesa – nei piani dell’Inter – di tornare alla Pinetina dalla porta principale. Pirola, non a caso, è il nome che stuzzica di più l’Atalanta, ma Ausilio e Baccin non vorrebbero privarsene.
Difficile, oggi, capire quale piega possano prendere gli eventi: molto dipenderà pure dalle condizioni di Alexis Sanchez (che finora si è spesso infortunato) e dal rendimento di Ivan Perisic come attaccante di complemento. Certo è che un attaccante a Conte serve. Per questo motivo un’altra idea low cost è quella di riportare alla base Eder, che l’allenatore ha avuto in Nazionale a Euro 2016, finito allo Jiangsu, l’altra squadra del gruppo Suning.
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