La notizia arriva da pochi minuti fa. E’ morto un grande campione del calcio mondiale. A 60 anni si è spento Diego Armando Maradona. L’ex leggendario calciatore del Napoli, del Barcellona e della Nazionale argentina, secondo quanto riportano il Clarin e la CNN non è riuscito a salvarsi: fatale è stato un arresto cardiaco. Ma chi il grande campione che ha fatto la storia del calcio?
Chi è Diego Armando Maradona
Diego Armando Maradona è nato a Lanús il 30 ottobre 1960 . Noto anche come El Pibe de Oro è considerato uno dei più grandi calciatori di tutti i tempi e, da alcuni, il migliore in assoluto. Nel corso della sua carriera ha vinto numerosi trofei dai due scudetti con il Napoli al campionato argentino con il Boca Juniors ad altri trofei con il Barcellona. Nel 1986 è laureato campione del mondo con la nazionale Argentina.
La vita privata del campione
Di vita privata Maradona ne ha avuta poco. Infatti, tutte le sue storie e i suoi eccessi sono sempre stati al centro di pettegolezzi e sbattuti in prima pagina. Dopo un lungo fidanzamento, nel 1989 ha sposato la compagna Claudia Villafañe. I due divorziarono però nel 2004. Da questa relazione sono nate Dalma Nerea e Gianina Dinorah. Nella sua autobiografia il grande campione ha ammesso che non è sempre stato fedele alla sua donna.
In ogni caso però la definisce “l’amore della mia vita”. Lui stesso ha dichiarato che non riesce ad avere un equilibrio e che ha bisogno di “evadere”. Nel corso della sua vita ha avuto altri tre figli: Jana, Diego Sinagra e Diego Fernando. Famosa è la storia con la napoletana Cristiana Sinagra da cui è nato Diego Armando Maradona Junior. Come tutti sappiamo per anni, il calciatore non ha riconosciuto il ragazzo, ma dopo vari appelli della donna il ragazzo ha avuto il suo cognome. Fino a poco fa avevano anche contatti e più volte si sono visti in varie occasioni.
Il dramma della droga
Un grande campione che come tutti sappiamo si è visto rovinare la vita dalla droga e dagli eccessi. Maradona ha dichiarato più volte che ha usato sostanze stupefacenti durante la sua lunga carriera da calciatore. In pochi però sanno che il campione argentino era diventato tossicodipendente.
L’ex moglie di Diego, Claudia, ha spiegato che la prima volta che ha fatto uso di droghe pesanti è stato nel 1983 per festeggiare il trasferimento dal Barcellona a Napoli. In una recente intervista, invece, Maradona aveva detto: “Ora sono 13 anni che non tocco più nulla e la mattina mi sveglio felice perché posso stare con i miei figli”.
Alle 13.02 di ieri a Buenos Aires il cuore di Diego Armando Maradona, il giocatore più forte della storia del calcio, il migliore di tutti i tempi, ha smesso di battere. Un arresto cardiorespiratorio ha sorpreso El D10S del fùtbol nella sua casa di Tigre, parte nord della provincia di Buenos Aires: s’era trasferito proprio qui dopo essere stato dimesso dalla clinica in cui era stato operato il 4 novembre per la rimozione di un ematoma subdurale al cervello.
Nei giorni scorsi aveva vissuto dei brutti episodi dal punto di vista sia della sua salute fisica sia di quella mentale. Alle 12.50 di ieri è scompensato e, nonostante l’intervento dei medici e di quattro ambulanze, questa volta Diego non è riuscito a fare un tunnel alla morte.
Quella che doveva essere una mattina come tante s’è traformata nella mattina più nera per tutti quelli che amano il calcio. Maradona si era alzato bene, aveva fatto alcuni passi come al solito e poi era tornato a letto. Il tutto davanti allo sguardo attento dello psicologo, dello psichiatra e dell’infermiera della Clinica Swiss Medical che hanno accompagnato El Diez in tutto il processo della guarigione. Tuttavia a mezzogiorno, quando sono andati a svegliarlo per potergli dare le medicine, già Diego non rispondeva più.
Il cuore aveva detto basta: “basta gambetas, basta caños”. Basta dribbling, basta tunnel. Basta tutto. Quattro ambulanze sono arrivate a sirene spiegate nel barrio di San Andrés, situato tra Nordelta e il complesso di Villa Nueva, praticamente al confine tra Trigre e Ecobar. Nonostante la rapidità dei mezzi di soccorso era comunque troppo tardi.
Gli ultimi giorni di Diego sono stati segnati da numerose ricadute di salute e cali di umore, che avevano convinto il suo staff medico a rimandare l’idea che potesse, in tempi brevi, tornare ad allenare il suo Gimnasia y Esgrima La Plata. La diagnosi è rimasta la stessa di quando è stato dimesso dalla Clinica Olivos dopo l’operazione per l’ematoma subdurale alla testa e un trattamento intensivo per stabilizzare il suo stato mentale e fisico peggiorato a causa della dipendenza da alcol e psicofarmaci. Il recupero doveva essere a lungo termine, sebbene tutto nella vita di Maradona fosse ormai al “dìa dìa”, giorno per giorno, insomma.
In questo periodo Maradona ha continuato a vivere nella sua nuova casa a Tigre con un’infermiera che lo ha monitorato 24 ore al giorno, ha eseguito esercizi con il suo kinesiologo per migliorare le capacità motorie. El D10S del fùtbol era circondato dalla sua cerchia ristretta e riceveva visite regolari dai suoi figli, principalmente Gianinna e Jana. Era riuscito a darci un taglio con l’alcol, una questione fondamentale per evitare una ricaduta.
La seconda fase del suo trattamento ambulatoriale, schematizzata dal medico Leopoldo Luque, mirava a trovare motivazioni, per avviare un motore che era stato spento di recente. «Niente lo motiva», hanno detto quelli che lo avevano visto alla vigilia del suo 60° compleanno. La missione era insomma quella di “riattivare” El Diego, trovare un aggancio che lo facesse godere, che gli tenesse la testa occupata e che gli permettesse di stare lontano dalle tentazioni. Tornare a lavorare come direttore tecnico del Lobo, tornare a sedersi sulla panchina di El Bosque per dirigere il Gimnasia poteva essere uno stimolo forte, fortissimo. Un incentivo consigliato dai medici stessi come parte dell’evoluzione del paziente.
«Forse potrà andare a una partita o a un allenamento», si auguravano. Nei giorni scorsi un altro netto peggioramento. Psicologico prima che fisico: «Era ansiosissimo», trapelava dagli ambienti a lui più vicini. E per motivarlo era tornato d’attualità anche un viaggio a Cuba per continuare la riabilitazione nella “sua” Isla querida che già in un’occasione gli aveva salvato la vita. Non stavolta. Gracias por tanto, Diego querido!
Villero. Piccola promessa delle Cebollitas. Giovane stella dell’Argentinos Juniors. Signore a casa sua, la Bombonera. Semidio a Barcellona. D10S a Napoli e in Argentina, colui che ha regalato allegria a due popoli. Sfatto su un cellulare della Policia Federal. Poi rinato, la Fenice di Villa Fiorito. Showman. Ballerino. Allenatore. Opinionista. Uno e trino. Anzi uno e mille, Diego Armando Maradona.
Quando conduceva “La noche del Diez” (e tutta l’Argentina si fermava), un giorno ebbe un colpo di genio: no, non stupitevi, chi è geniale lo è in qualsiasi cosa faccia, dal guidare una Ferrari Testarossa però tutta nera (l’unica al mondo) e farlo in ciabatte fino a autointervistarsi nel suo programma. L’intervista era di quelle pepate, credeteci: se domande del genere gliele avesse fatte un giornalista normale e non il suo io-periodista, magari si sarebbe pure preso qualche proiettile di fucile ad aria compressa, come quella volta a Moreno nel 1994…
Argomento piccante dicevamo: la morte. Il Diego intervistatore, impeccabile, con un elegantissimo completo. Il Maradona intervistato con un jeans e una maglietta grigie, molto più casual e molto meno formale. Accadeva quindici anni fa: riascoltare oggi quelle parole mette i brividi. «Invecchiare con i miei nipoti, questo vorrebbe dire avere una morte tranquilla», attacca il Maradona casual, l’intervistato. Il Diego elegante, l’intervistatore, non si fa scappare l’occasione, sfrutta l’assist che manco Burruchaga all’Azteca in quel pomeriggio appiccicaticcio, umido e molto messicano, nella finale contro la Germania Ovest e incalza: «Se dovessi dire delle parole, una preghiera a Maradona al cimitero, che gli diresti?». Ride nervoso, l’intervistato e tenta di abbozzare: «Ahaha, che cosa gli direi. E tu mi chiedi questo?». Il Diego periodista non molla: «L’hai introdotto tu questo argomento.
Io non ho parlato della morte, sei stato tu a cominciare». E qui Maradona l’intervistato tira fuori dal cilindro una frase di un romanticismo totale, di una tenerezza spiazzante, proprio come la “gambeta” che ha mandato al bar Butcher, Fenwick, Shilton e tutti i sudditi di Elisabetta II di Windsor. «A Maradona al cimitero direi, “Grazie per aver giocato al fútbol, perché è lo sport che mi ha dato più allegria, più gioia, più libertà. E’ come toccare il cielo con le mani. Grazie al pallone. Ecco sì, vorrei una lapide con inciso “Gracias a la pelota”».
Ha sbagliato, certo, ma d’altronde, cosa c’è di più umano che errare? Ha incantato, ha lottato, ha insultato. Mai, però, ha barato: la “blanca mujer”, la cocaina in cui ha iniziato a imbattersi ai tempi dell’avventura a Barcellona salvo poi non riuscire più a scrollarsela di dosso, non lo aiutava nelle gesta, gloriose in campo. E’ stato drogato, El D10S del futbol, ma dopato mai. E come raccontava nel docufilm di Emir Kusturica: «Sapete che razza di giocatore sarei stato si no “hubiera tomado mercancìa”, se non avessi pippato cocaina, insomma?».
Mamma mia che cosa ci siamo persi. Mamma mia che cosa si sono perse sua moglie Claudia, ma soprattutto Dalma e Giannina, le due amatissime figlie. Mamma mia cosa s’è perso Diego Armando Junior, il maschio della famiglia, quello che quando lo guardi in quegli occhioni rivedi il D10S da bambino. Il pallone piange a dirotto. I tifosi di tutto il mondo non smettono di singhiozzare: el “Fútbol esta de luto”, il calcio è in lutto. Il migliore ha dribblato questa vita, per sempre. Ci piace immaginarlo lassù, seduto a fianco al Barba, all’Onnipotente, impegnato a spiegargli che per quel gol con la mano può pure chiudere un occhio perché “El que roba a un ladrón tiene 100 años de perdón. E noi abbiamo derubato gli inglesi!”.
Add comment