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Pierfrancesco Favino ricorda la sua infanzia con qualche rimpianto



E’un papà tenerissimo, Pierfrancesco Favino. E pure vincente, come dimostra la Coppa Volpi conquistata sabato scorso alla Mostra del cinema di Venezia – edizione numero 77 – come miglior attore per l’interpretazione nel film. Padrenostro di Claudio Noce, dramma familiare ambientato negli Anni di Piombo. «Mi avete fatto la più bella sorpresa della mia vita», ha dichiarato emozionato Favino alla premiazione. «Come ha detto un regista, quando si gira un film è come se nascesse una stella.



Noi viviamo su quella stella per mesi e la sua luce si propaga nello spazio e sugli schermi. Dedico questo premio ai milioni di schermi che si accenderanno, alla luce che si propagherà, al brillare degli occhi nel buio». «Mossa astuta da parte del regista» Un messaggio di speranza lodato anche dalla collega Cate Blanchett. presidente della giuria a Venezia: «Quella di Pierfrancesco è stata una performance straordinaria, l’anima del film non sarebbe stata la stessa senza di lui».

L’attore si è guadagnato le simpatie del pubblico in Laguna fin dal primo momento dell’edizione di quest’anno, dove si è presentato in versione “tenero genitore”. Sul red carpet ha sfilato al fianco della secondogenita Lea, nata dall’amore con la collega Anna Ferzetti. La piccola segue le orme paterne e già debutta sul grande schermo al fianco di Favino.

Lui, che è anche produttore di Padrenostro, nelle sale dal 24 settembre, nel film interpreta Alfonso. La sua Lea è Alice, una dei figli del protagonista. «Mi piace da morire fare il padre», ha ribadito dopo la premiazione Favino, «e stare vicino ai miei figli. Non ho imposto io Lea nel cast. Però l’ha voluta il regista: è stata una mossa astuta da parte sua, perché io ero più felice». La storia è ispirata a un fatto realmente I accaduto negli anni del terrorismo, quando il padre del regista del film, il vicequestore Alfonso Noce, fu coinvolto in un attentato: era il 14 dicembre del 1976.

La storia parte da qui: da quello che succede tra un padre e un figlio dopo un fatto terribile che cambia la vita. «Il nostro, però, non vuole essere un racconto su quel momento storico, quanto punto sto sul mistero del rapporti di un padre e un figlio, che nel film è Valerio: si tratta di un tema che ci riguarda tutti e ci tocca da vicino. Perché alla fine le vere protagoniste della storia sono le emozioni che attraversano i personaggi».

Per costruire questa figura paterna è tornato indietro alla sua infanzia e anche ai rapporto con suo padre? «E stato proprio lì che mi sono permesso di andare a esplorare. Ho ritrovato quei momenti in cui da figlio avresti voluto tenerezza e abbracci da una generazione di padri che non sapeva darli, se non in termini di senso di protezione nei confronti della famiglia. Al posto degli abbracci, c’erano i dettagli della vita quotidiana passata insieme, dal momento della cena a quello di andare a dormire.



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