Un buon controllo glicemico – evitando sbalzi della concentrazione di zucchero nel sangue – protegge la salute dei diabetici e il rischio di complicanze vascolari perché sembra aumentare le cellule ‘riparatrici’ delle pareti (‘endoteli’) dei vasi, ovvero le cellule ‘progenitrici endoteliali’.
Lo suggerisce uno studio condotto da Maria Ida Maiorino, ricercatore di Endocrinologia dell’Università della Campania ‘Luigi Vanvitelli’, coordinato da Katherine Esposito, Professore Ordinario di Endocrinologia e Malattie del Metabolismo, Direttore dell’Unità di Programma di Diabetologia, Università degli Studi della Campania ‘Luigi Vanvitelli’ e presentato a Berlino in occasione di EASD 2018, il convegno della European Association for the Study of Diabetes.
Il diabete porta a un’alterazione dei meccanismi di riparazione vascolare, a causa di una ridotta capacità rigenerativa delle cellule progenitrici endoteliali, cellule staminali che provvedono a sostituire le cellule endoteliali danneggiate o morte (in sostanza come a mettere una ‘toppa’ sulle pareti dei vasi danneggiate). “Questo studio suggerisce che fluttuazioni glicemiche quotidiane estremamente ampie possano interferire con i sistemi di riparazione vascolare nel diabete tipo 1, contribuendo a definire un ulteriore meccanismo di danno endoteliale offerto dalla variabilità glicemica”, sostiene Esposito.
I ricercatori hanno osservato per due anni un gruppo di 204 giovani pazienti diabetici (con diabete di tipo 1 o insulino-dipendente). Parte di loro aveva una pompa insulinica che in modo continuo pompava l’ormone nel loro sangue, permettendo di ridurre al minimo, in molti casi, gli sbalzi glicemici. Gli altri pazienti si iniettavano l’insulina autonomamente, prima dei pasti e prima di andare a dormire, con risultati meno brillanti, dopo due anni, sulle escursioni glicemiche e la frequenza di episodi di ipoglicemia.
Ebbene è emerso che migliore era il controllo sulle oscillazioni della concentrazione plasmatiche di glucosio, più abbondanti erano le staminali endoteliali nel sangue del paziente. “Dopo 2 anni di monitoraggio – spiega la dottoressa Maiorino – i giovani pazienti con pompa insulinica mostravano un incremento dei livelli circolanti di staminali endoteliali, che aumentavano al diminuire degli sbalzi glicemici. I nostri risultati mettono quindi in relazione il miglioramento di alcuni marcatori di rischio vascolare, quali i livelli circolanti di cellule progenitrici endoteliali, con la riduzione delle oscillazioni glicemiche giornaliere, offrendo un’ulteriore prova dell’effetto dannoso delle variazioni quotidiane del glucosio sulla salute dell’apparato vascolare nel diabete tipo 1. In particolare, il nostro studio conferma nel lungo termine (2 anni) ciò che era già emerso in un periodo di osservazione più breve (6 mesi): ridurre la variabilità glicemica (nel nostro caso con l’infusione sottocutanea continua di insulina, che permette di regolare il fabbisogno insulinico in modo più flessibile) è importante per mantenere in salute il compartimento microvascolare dei nostri pazienti con diabete tipo 1, dei quali solo il 9 per cento presentava le complicanze micro-angiopatiche”.
Al momento tuttavia non è noto se il miglioramento dei livelli circolanti di cellule progenitrici endoteliali in giovani adulti con diabete tipo 1 possa ridurre il rischio di complicanze nel lungo termine, conclude Esposito. Ma è probabile che tale meccanismo possa essere alla base della riduzione del rischio di malattia coronarica (-45%) e di malattia cardiovascolare fatale (-42%) descritto in pazienti con diabete tipo 1 trattati con pompa insulinica.
Identikit del diabete mellito tipo due
Subdolo, nelle fasi iniziali diabete di tipo due è scarsamente del tutto sintomatico, il paziente non è percepisce la reale gravità e tende a sottovalutarlo.
Cronico, il diabete mellito tipo due già allo stadio iniziale ed in assenza di sintomi irrilevanti causa un danno cronico indotto dall’iperglicemia a carico dei vari apparati organi, che può essere manifesto già la diagnosi.
Dannoso ma controllabile è meglio se si dalla diagnosi
Un controllo precoce del diabete già dal momento della diagnosi tramite cure a atti a mantenere livelli di glicemia appropriati è in grado di offrire un effetto protettivo sullo sviluppo di complicanze vascolari a lungo termine.
È ampiamente noto che le complicanze cardiovascolari costituiscono il maggior problema del diabete. L’aspettativa comune è sempre stata quella di poter contare su farmaci che da un lato assicurassero un ottimale controllo glicemico e dall’altro garantissero anche una certa protezione cardiovascolare. Queste attese sono state fino a ora vane. Non solo, ma nel caso di alcuni farmaci, vedi rosiglitazone, sarebbe addirittura emersa una certa pericolosità legata al suo uso. Il caso del rosiglitazone non sembra isolato, tanto è vero che negli ultimi anni diverse segnalazioni suggeriscono di essere molto cauti con due classi di farmaci, sulfaniluree e glinidi, che pure sono largamente usate da decenni. Allo scopo di limitare al massimo i danni, la Food Drug Administration (FDA) ha introdotto la valutazione obbligatoria del rischio cardiovascolare per tutti i nuovi farmaci antidiabetici che si affacciano all’orizzonte e che chiedono l’approvazione alla messa in commercio. Negli ultimi anni si è assistito a una vera e propria esplosione di nuove classi di farmaci antidiabetici, che hanno meccanismi d’azione molto diversi tra loro e a volte potenzialmente sinergici. Motivo per cui la classe medica ha bisogno di conoscere ed essere rassicurata sui potenziali rischi cardiovascolari legati a questi nuovi farmaci. Lo scopo di questo volume è di fare il punto sugli aspetti di sicurezza cardiovascolare sia dei nuovi sia dei vecchi farmaci. Ritengo che questo volume possa essere un utile strumento di aggiornamento su un argomento non solo di estremo interesse ma dal rilevante impatto clinico pratico.
I farmaci
Metformina
Per anni si è affermato che la metformina riducesse il rischio delle complicanze CV; questa affermazione traeva spunto dallo studio UKPDS 34 (UK Prospective Diabetes Study) nel quale in un sottogruppo di pazienti in sovrappeso l’utilizzo della metformina si associava a una minore morbilità e mortalità CV rispetto ai pazienti trattati con sulfanilurea e insulina. In realtà quello studio aveva una serie di limiti, il principale dei quali era un sottodimensionamento della casistica. Una recente meta-analisi ha dimostrato che la metformina non sembra avere ulteriori effetti positivi sugli eventi CV, oltre quelli determinati dal miglioramento del controllo glicemico; la stessa analisi escludeva, però, qualsiasi effetto negativo della metformina sulla morbilità e mortalità CV. Considerando la sua sicurezza, il basso costo e possibili effetti su altri endpoint non CV, quali i tumori, la metformina viene suggerita come farmaco di prima linea nella cura del T2DM in tutte le linee guida.
Glitazoni
I tiazolidinedioni o glitazoni, agonisti dei peroxisome-proliferator-activated receptors (PPARs), regolano l’espressione genica promuovendo una migliore utilizzazione del glucosio e una sua ridotta produzione a livello dei tessuti periferici. Attualmente sul mercato italiano è disponibile solo il pioglitazone; questo farmaco ha mostrato di ridurre marker surrogati di rischio CV, quali la disfunzione endoteliale, la pressione del sangue, la dislipidemia e livelli circolanti di citochine infiammatorie. Il pioglitazone è in grado di incrementare i livelli di colesterolo HDL, di ridurre i trigliceridi, l’apolipoproteina B e le LDL dense, mentre aumenta le LDL di maggiori dimensioni. L’effetto complessivo di pioglitazione sulla frazione LDL è neutro rispetto a rosiglitazone che invece aumenta i livelli di colesterolo LDL. Lo studio PROactive ha dimostrato che pioglitazone riduce l’endpoint cumulativo di mortalità complessiva, infarto miocardico non fatale e ictus in pazienti con diabete di tipo 2 a elevato rischio di eventi macrovascolari. Un’analisi posthoc di questo studio evidenzia gli effetti benefici di pioglitazone sulla frazione HDL come la causa della riduzione di eventi CV. Il profilo di sicurezza CV di rosiglitazone, invece, resta controverso, anche se al suo utilizzo è stata tolta la limitazione imposta qualche tempo fa dalla Food Drug Administration (FDA) negli Stati Uniti. I glitazoni si associano a un aumentato rischio di scompenso cardiaco. Tale rischio risulta significativamente maggiore nei soggetti in terapia insulinica trattati con dosi più elevate di glitazoni che abbiano altri fattori di rischio per insufficienza cardiaca. I glitazoni non sono raccomandati nei pazienti anziani a rischio di insufficienza cardiaca e sono controindicati nei pazienti con classe funzionale NYHA di grado III-IV. Le linee guida dell’American Heart Association e il consensus statement dell’American Diabetes Association suggeriscono un monitoraggio clinico per la comparsa di segni e sintomi di edema o scompenso cardiaco nei pazienti trattati con glitazoni.
IPOGLICEMIA
L’ipoglicemia è il rapido abbassamento al di sotto dei valori normali del livello di zucchero nel sangue e rappresenta la più frequente delle complicanze acute del diabete. L’ipoglicemia è più frequente nell’intervallo fra i pasti e nelle ore notturne.
LE CAUSE – Il mancato rispetto degli orari e della tipologia della dieta, l’attività fisica non prevista e il sovradosaggio di insulina o di ipoglicemizzanti.
I SINTOMI – Sensazione di malessere generale, senso di fame, debolezza, spossatezza, mal di testa, tremori, sudorazione, palpitazioni cardiache. Ma anche indebolimento della vista, pallore, sonnolenza, depressione, irritabilità, cambiamento di personalità e difficoltà di risveglio.
Alla base del diabete sta l’alterazione di uno dei tanti meccanismi di controllo omeostatici che rendono possibile la vita. Il controllo della glicemia, cioè il suo mantenimento entro una gamma di valori sensibilmente costante nonostante le continue forti spinte al cambiamento in entrambe le direzioni, consente la fornitura regolare del principale carburante – il glucosio – al sistema nervoso centrale. Come tutti i sistemi di controllo automatici, anche quello della glicemia si basa su verifiche periodiche della variabile in questione – il cosiddetto monitoraggio – e su un effettore in grado di attuare interventi correttivi di direzione opposta alla variazione misurata.
Sappiamo da molti anni che, per realizzare il fine controllo della glicemia l’organismo si serve di un sistema complesso e sensibilissimo, basato sulla verifica continua della glicemia e su una pronta risposta ormonale volta a indirizzare i flussi di substrati nei diversi organi e tessuti nella giusta direzione, il tutto reso ancora più sensibile dall’intervento del sistema nervoso autonomo. L’organo chiave ove sono situati sia il sensore che il principale effettore dell’apparato di controllo della glicemia è l’isola di Langerhans. Il guasto associato al diabete riguarda l’effettore, cioè la parte dell’apparato di controllo deputata alla correzione della glicemia, e in particolare la parte di esso deputata alla sua riduzione.
La glicemia va dunque incontro a oscillazioni prevalentemente verso l’alto, tanto più ampie quanto più il sistema di controllo è compromesso. Passando dalle forme più lievi di ridotta tolleranza al glucosio, al diabete tipo 2, al diabete tipo 1 insulino-privo, possiamo immaginare un continuum di difettoso controllo glicemico paragonabile dapprima a una ridotta sensibilità, poi a una staratura e infine a una totale rottura, con incontrollata salita della glicemia In attesa di trovare una cura che ripari in modo definitivo l’apparato di controllo, la terapia del diabete si è sempre basata sul rafforzamento delle ridotte capacità ipoglicemizzanti dell’organismo. Pur senza raggiungere la guarigione, tale terapia può essere oggi molto efficace, consentendo di avvicinarsi alla normalizzazione delle oscillazioni glicemiche e di prevenire le conseguenze nocive della cronica iperglicemia. In particolare nel diabete tipo 2, la terapia si basa sul ripristino della sensibilità del meccanismo di controllo fisiologico, sul quale si attua un specie di risettaggio: che si tratti di dimagrimento, attività fisica e/o farmaci, quando la terapia funziona, il controllo glicemico così ottenuto è dunque praticamente perfetto. Invece, nei casi di diabete tipo 2 in cui si rende necessaria una terapia sostitutiva con insulina, così come nel diabete tipo 1, il normale apparato di controllo automatico viene messo fuori-gioco e si rendono necessari interventi “manuali” di monitoraggio e di correzione.
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