Agli occhi del ragazzo siamo apparsi degli angeli, ma in realtà eravamo dei lupi. Lui era felice, diceva: ‘Papà mio, amore mio!”. Gaspare Spatuzza, ex ma”oso poi divenuto collaboratore di giustizia, ha descritto meticolosamente le drammatiche fasi del rapimento e dell’uccisione di Giuseppe Di Matteo, il bambino strangolato e sciolto nell’acido per punire suo padre Santino Di Matteo. Quest’ultimo si era pentito e aveva fatto ai magistrati i nomi dei mandanti e degli esecutori della strage di Capaci, in cui morirono il giudice Giovanni Falcone, la moglie e gli uomini della loro scorta, e dell’omicidio dell’esattore Igna- Geraci Siculo (Palermo) zio Salvo.
Giuseppe aveva solo 12 anni quando fu rapito il 23 novembre 1993. Prima di essere brutalmente ucciso rimase prigioniero per 26 lunghissimi mesi. Perché vi stiamo raccontando questa terribile storia? Perché nei giorni scorsi è accaduto qualcosa di ripugnante: uno dei sequestratori del piccolo Giuseppe è stato scarcerato. Cataldo Franco, condannato all’ergastolo, è infatti riuscito a ottenere gli arresti domiciliari ed è già tornato nella sua casa di Geraci Siculo, in provincia di Palermo.
Il motivo della scarcerazione è lo stesso che in queste settimane ha portato alla liberazione di altri boss: il pericolo che in cella potesse essere contagiato dal Coronavirus. Ma non finisce qui: a breve altri criminali di spessore potrebbero tornare a casa. Cataldo Franco, oggi 85 anni, ebbe in custodia il piccolo Giuseppe nella sua masseria di Gangi, nel Palermitano. Nell’ottobre del 1994, cioè dopo dieci mesi di prigionia, consegnò il povero ragazzino ai suoi amici ma”osi poiché il capanno in cui lo aveva nascosto gli serviva per la raccolta delle olive. Dopo altri 16 mesi Giuseppe fu giustiziato e sciolto nell’acido.
Il sequestro del bambino era stato deciso dal capo dei Corleonesi, Totò Riina, e dai fratelli Brusca. Avvenne in un maneggio di Piana degli Albanesi, un piccolo Comune in provincia di Palermo.
Come poi dettagliatamente descritto da diversi collaboratori di giustizia, il ragazzino, con la passione per i cavalli, venne ingannato da un gruppo di mafiosi che si travestirono da poliziotti della Direzione distrettuale antimafia facendogli credere di doverlo prelevare per accompagnarlo dal padre che si trovava in una località protetta fuori dalla Sicilia. Giuseppe si fidò finendo nelle mani dei rapitori. Fu legato e gettato nel cassone di un furgoncino Fiat Fiorino. Rimase chiuso dentro un magazzino a Lascari, nel Palermitano, per diverso tempo, e poi fu consegnato ai carcerieri. Il piano era stato organizzato nei minimi de!agli. L”obiettivo era “chiudere la bocca” al padre Santino, che aveva deciso di parlare e raccontare tu!i i più importanti segreti di ma#a di cui era a conoscenza. Il continuo in edicola nel settimanale Giallo
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