Uno dei giocatori della Roma più impegnati questa sera al San Paolo dovrebbe essere il portiere: contro il Napoli super offensivo la sua performance sarà fondamentale per evitare guai. Olsen, in grande ascesa dopo un approccio complicato, ieri è stato intervistato da una televisione svedese: «Alisson è fantastico, un grande portiere, ma io non sento più la sua pressione». Forse il problema delle prime settimane era tutto lì, la pesante eredità che ne condizionava il rendimento: «Ora voglio farlo dimenticare, con tutto il rispetto, anche se capisco i confronti e il ricordo dei tifosi: Alisson è stato venduto a cifre record, perciò sarebbe stato difficile per qualunque portiere prendere il suo posto. Ma ora sto cercando di dimostrare il mio valore». Sulle prospettive della squadra, Olsen non ha dubbi: «Il mio obiettivo è vincere lo scudetto con questa squadra. Sto vivendo in un ambiente incredibile, con un pubblico molto affezionato alla squadra, e sarei orgoglioso di conquistare un titolo».
Almeno adesso la smetteranno con quei pensieri trasversali, perché se segni anche al Parco dei Principi, con tanto di cucchiaino, dopo aver spaccato il Liverpool, e se ne hai già fatti sei in campionato, e se in passato pure a Madrid, il «Santiago Bernabeu» con il suo miedo escenico, e prim’ancora la doppietta a san Siro, i gol all’Olimpico nella finale di coppa Italia: basterà, maledizione, per togliere dalla testa della gente, miscredenti che non siete altri, a convincerli che questo è un uomo e, poi ognuno decida come meglio creda, forse anche il calciatore italiano più forte. E prima era discontinuo e poi non aveva carattere e poi spariva nelle partite che contano e poi gli piaceva il tiroaggiro e poi era diventato egoista: gliene ne hanno dette e quando proprio non potevano bisbigliavano tutti assieme, e se sommate trenta o quarantamila sospiri, diviene un impropero fastidioso da sopportare.
STRADA FACENDO. Mica si diventa Lorenzino Insigne così, dalla sera di Parigi alla notte con la Roma, c’è tutto un percorso precedente, che ha avviato Zdenek Zeman, ai tempi comuni del Pescara, pur in serie B, tirandolo fuori da quella nuvola di fumo che avvolgeva lo scugnizzo, bravo ma piccolo, e invece divenuto poi un gigante, ma ancora prima del Parco dei Principi, in quella naturalezza con cui andarsi a prendere le responsabilità, ascoltare i fischi e il dissenso e tacitarli a suon di gol: ne ha fatto quarantasette nel triennio di Sarri, ma il meglio stava per venire e non lo sapeva nessuno, neanche questo monello sorridente, che Ancelotti ha sistemato frontalmente alla porta, un po’ centravanti e po‘ sottopunta, riducendogli il chilometraggio e allungandogli le statistiche e dilatandone l’estro, divenuto ora (quasi) incontrollabile.
IL BOOM. Insigne è in una galleria di capolavori, perché evidentemente il talento rifiuta la banalità, che nasce, quest’anno, all’Olimpico di Roma, una palla all’incrocio, quello che però stava dall’altra parte: ma è con la Fiorentina che comincia quest’avventura da attaccante tout court, non più l’ala di un tempo, ma qualcosa di più ampio, di diverso, di alternativo, di tremendamente inaspettato e indiscutibilmente moderno. La prima volta, con la Fiorentina, il 15 settembre, subito dopo la prima sosta azzurra, è persino centravanti, ed a mandarlo in porta è Milik: poi una doppietta a Torino, una rete al Parma, e un’altra al Sassuolo. Ma è la statura internazionale ch’è cresciuta, perché Insigne s’è preso il Napoli negli istanti cruciali della stagione, stordendo il Liverpool proprio nel finale, quasi sul triplice fischio di chiusura, con un gol in spaccata, e poi scuotendo il Psg, facendolo barcollare, con la sontuosa giocata ispiratagli dalla genialata da Callejon e conclusa con un tocco sotto, quello che compete ai fuoriclasse, lucidi e cinici e però terribilmente deliziosi.
TOP TEN. Duecentosettantatrè presenze fanno un pizzico di Storia, la sua e anche del Napoli, e le settantuno reti sin lì segnate sono ancora distantissime dal trono di Hamsik, ci mancherebbe, però per uno che viaggia con una media del genere, nulla è impossibile. Ma prima d’ogni altra, ed è dal Parco dei Principi che ci sta pensando, bisogna ricordarsi del Psg e di quella felicità soffocata da riconquistare in fretta: «Guardiamo avanti e prendiamo l’aspetto positivo: quello di non aver perso contro una grande squadra. Certo, l’avevamo in pugno. Ma adesso dobbiamo concentrarci esclusivamente sulla Roma: per noi, tutte le partite sono come una finale».
Non è stata una vigilia spensierata. Edin Dzeko è sotto choc per l’attentato di Sarajevo, nel quale hanno perso la vita due poliziotti: il giocatore ieri li ha voluti ricordare con nomi e cognomi sui profili social, evitando di caricare la Roma come spesso fa prima delle partite. Peccato che si approcci alla grande sfida con la morte nel cuore, perché per lui il Napoli si rappresenta una storia mancata e al contempo un avversario favorevole.
CONTATTI. Dzeko venne chiesto a De Laurentiis da Walter Mazzarri, nei tempi in cui Cavani si avviava a salutare e il Napoli cercava un centravanti che fosse degno dell’eredità. Poi le cose andarono diversamente: De Laurentiis chiamò Benitez che seppe convincere Higuain a lasciare il Real Madrid per la Serie A. Dzeko all’epoca rimase al Manchester City per poi, due stati più tardi, trasferirsi alla Roma.
RAFFICHE. Da allora, il San Paolo si è trovato a rimpiangere la distanza determinata dal destino: nelle ultime due visite, Dzeko ha segnato altrettante doppiette in questo stadio, risultando decisivo per le vittorie della Roma, la prima con Spalletti e la seconda con Di Francesco. La sua ultima sconfitta a Napoli risale ai tempi del City: 1-2 con Roberto Mancini in panchina nel girone di Champions 2011/12, segnarono due reti Cavani e una Balotelli. A nessuna squadra di Serie A Dzeko ha segnato più volte.
SERIE. E se è vero che Dzeko gioca meglio le notturne, come ricordava Di Francesco dopo i due gol segnati al Cska, Ancelotti deve tenere gli occhi aperti: non a caso nelle dichiarazioni dei giorni scorsi ha indicato proprio nel centravanti il giocatore della Roma più temibile.
STILE. Dzeko contro Insigne è anche un duello di filosofie: ci sono 30 centimetri precisi di differenza tra i due attaccanti, che sanno toccare la palla con la stessa eleganza ma usano il fisico in maniera naturalmente diversa. Centravanti ingombrante il primo, agile e tecnico ma anche potente. Trequartista o seconda punta il secondo, eccellente in questo inizio di stagione nell’attaccare gli spazi in profondità a velocità elevatissime. La Roma si augura che vinca il metro e 93 di Dzeko, in una partita che può segnare in maniera indelebile il campionato della squadra e di conseguenza il futuro aziendale: le strategie di Monchi dipendono in buona parte dalla partecipazione alla Champions League.
primati. In questo momento, tra Serie A ed Europa, la media-reti stagionale di Dzeko è inferiore a quella di Insigne. Ma con le 7 reti segnate finora, Dzeko ha scalato posizioni nella classifica di tutti i tempi dei marcatori della Roma: ora è nono a quota 80, a -3 dall’ottava piazza occupata da Marco Delvecchio. Non impiegherà molto tempo a raggiungerlo, considerando che il suo ritmo realizzativo da quando è arrivato in Italia nonostante il primo anno difficile è stato di oltre una rete ogni due partite (80 in 150 presenze).
SERENO. Grazie alla doppietta infrasettimanale, che ha meritato elogi anche dall’Uefa, sembrano lontani i malumori della scorsa settimana, durante il secondo tempo con la Spal, quando Dzeko si arrabbiò platealmente in direzione della panchina. Adesso torna plausibile il rinnovo del contratto, con spalmatura dell’ingaggio, come suggerito da Monchi. Il suo amore per la Roma è a prova di errori. E di nervi.
Come cambiare la tua vita in soli sei mesi? Chiedere a Davide Santon. Era esattamente il 28 aprile 2018 quando in soli 5 minuti, nel discusso Inter-Juventus dello scorso anno, si rese protagonista di diversi errori. Determinanti per il 3-2 finale dei bianconeri a San Siro. Ne seguirono minacce e insulti che costrinsero il giocatore a cambiare aria e voltare completamente pagina. E la scelta oggi sembra avergli dato ragione.
Il suo passaggio alla Roma in estate (è entrato nella trattativa che ha poi portato Nainggolan all’Inter), era stato accolto con tanto scetticismo dal popolo giallorosso. A Ciampino, al suo arrivo non c’era nemmeno un tifoso ad attenderlo. E invece le prestazioni viste in campo hanno dato ragione a Monchi e allo stesso Di Francesco che l’ha definito “una scoperta”. Ha stupito contro Frosinone, Lazio e Empoli e ha superato Karsdorp nella corsa alla maglia di vice Florenzi a destra facendo benissimo anche in Champions contro il Cska Mosca. Questa sera, al San Paolo, per Santon potrebbe essere l’occasione dell’ennesimo riscatto.
L’estate 2016 infatti, fu quasi da record per lui: scartato da Sunderland, Napoli e West Ham. Già, proprio gli azzurri, avversari della Roma nel big match di questa sera. La decisione fu presa dallo stesso presidente dei partenopei Aurelio De Laurentiis dopo essersi consultato con i responsabili dello staff medico del club: le visite mediche alle quali il giocatore si sottopose, fecero infatti emergere una fragilità al ginocchio già operato che non offriva garanzie e certezze al Napoli. Il club campano decise così di annullare l’operazione con l’Inter (trasferimento a titolo definitivo per 4 milioni più uno di bonus), non volendo rischiare un caso Zuniga-bis (il colombiano s’infortunò proprio in prossimità del rinnovo col Napoli a 3,2 milioni e di fatto non tornò più a vestire l’azzurro).
Oggi le 5 presenze in stagione con la Roma (4 in campionato più 1 assist e 1 gara in Champions League), sembrano aver ridato fiducia al terzino giallorosso che al San Paolo dovrebbe partire dal primo minuto. Con l’intento, magari, di dare uno schiaffo morale a chi, non ha avuto fiducia in lui. In questo schizofrenico inizio di stagione la Roma ha mostrato il meglio e il peggio di sé in un’incomprensibile altalena di prestazioni. Come una squadra possa meritatamente perdere e giocare male contro la Spal e tre giorni dopo annichilire il Cska di Mosca, è uno di quei misteri che rendono meraviglioso e crudele il calcio. La metamorofosi è inspiegabile. Solo chi è disposto a coprirsi di ridicolo ogni volta, pontificando su moduli, sostituzioni e altre amenità pensa di conoscerne l’origine. C’è invece chi incolpa la piazza.
Che cosa c’entra la piazza se Dzeko, che è un campione vero, ogni tanto manda in campo il gemello stanco e svogliato? Se una squadra resta imbambolata su un calcio d’angolo come sul gol di Bonifazi o se sette, dico sette, giocatori della Roma giocano alle belle statuine, mentre Inglese, e non Gerd Muller, si gira e trova la porta? Anche le ripetute analisi di opinionisti, giornalisti e tuttologi spesso lontani dalla realtà romana parlano di pressione, di soffocamento per i giocatori, di stadio che rumoreggia. Invece Roma è quel luogo dove Iturbe, dopo non averla strusciata per due anni, quando entrava in campo veniva incoraggiato con applausi, perché comunque s’impegnava, dove a Santon, accolto con scetticismo e ironia, è bastato il primo bell’intervento per conquistarsi la fiducia. E vogliamo parlare di Schick? In quale altro stadio e ambiente sarebbe stato aspettato così a lungo? Roma è un posto dove essere felici, come ha lasciato intendere in una bella intervista a Roma Tv il capitano Daniele De Rossi. Il retaggio della piazza cattiva che non perdona risale alla fine degli anni ‘90. E il motivo era soltanto uno. Per la prima e unica volta nella sua storia la Lazio, per un breve periodo, era stabilmente più forte.
Proprio in quel periodo, di grande pressione e contestazione, la Roma ha colto il suo terzo scudetto. Perciò la favoletta della pressione non regge. A parte qualche fischio ai dirigenti per le numerose cessioni, la squadra è sempre stata sostenuta anche quando era insostenibile e i fischi sono arrivati soltanto alla fine, in caso di partite penose come quella con la Spal. Chissà che questo perdonare e aspettare tutto e tutti non sia alla fine un grande boomerang. O molto più semplicemente, chissà se tutto questo non c’entri nulla. Noi tifosi, come in “Febbre a 90”, pensiamo che l’esito della partita dipenda dalla nostra camicia, dal seggiolino che occupiamo e dal parcheggio trovato o meno, ma purtroppo non è così. Siamo determinanti per lo spettacolo, l’atmosfera, il clima, ma la nostra incidenza sui risultati è pari a zero, altrimenti nel palmares degli scudetti la Roma sarebbe in testa a tutti e squadre plurititolate avrebbero vinto a stento un paio di titoli. Se poi quattro chiacchere nei bar o nelle radio, sui giornali o sui social network sono in grado di influenzare negativamente un ragazzo che non ha problemi economici e che è riuscito a fare della passione per il gioco più bello del mondo il suo lavoro, allora c’è qualcosa che non va. E qui mi rivolgo ai calciatori, ma che vi frega di quello che dice uno che in vita sua non ha vinto nemmeno il torneo rionale? O anche di quello che pensa il più grande giornalista vivente? La storia del calcio è piena di dichiarazioni solenni tramutatesi in fragorose figure di merda. E i cambiamenti d’umore e d’opinione dipendono da voi. Mi viene in mente un tifoso che allo stadio è un paio di file sopra di me in Tribuna Tevere. Lo scorso anno il suo bersaglio era Allison non ritenuto all’altezza di Szczesny. Dopo Roma-Atletico Madrid non ha più parlato e ha cominciato a prendersela con Dzeko. “Aho non segna mai” ha urlato un giorno. Per un paio di domeniche è entrato a testa bassa, sperando di non essere riconosciuto e poi ha spostato il suo obiettivo su Di Francesco reo di aver preso quattro gol a Barcellona. Da lì alla fine della stagione silenzio. Quest’anno ha ricominciato contro Olsen e Lorenzo Pellegrini e da due settimane è in silenzio. Ora, la speranza è che si scagli contro Pastore, Kluivert e Schick e magari già stasera col Napoli possa festeggiare dicendo: “Aho, l’avevo detto.”
Come un ciclista che si è fatto staccare in discesa (vedi ripetute partite all’Olimpico e un calendario iniziale piuttosto clemente), ora la Roma deve fare il massimo sforzo in salita. Se consideriamo l’intera stagione come un tappone da Giro d’Italia, la truppa giallorossa si appresta a valicare in rapida successione un decisivo trittico di cime. Con gli avversari diretti già in fuga, perdere altro terreno sarebbe un esiziale colpo di maglio sulle ambizioni stagionali.
La prima vetta. Si scala oggi, ed è anche la più dura. Il Napoli di Ancelotti è in crescita continua e in casa è un rullo: quattro vittorie su quattro in campionato, 9 gol fatti e 2 incassati. Ha vinto soffrendo con il Milan, poi ha trovato assetto e condizione, piegando Fiorentina (1-0), Parma (3-0) e Sassuolo (2-0) quasi in scioltezza e senza subire un gol. Aggiungiamoci la superba dimostrazione di forza offerta in Champions contro il Liverpool, e il quadro è completo. La Roma vanta un saldo recente molto positivo al San Paolo, con due vittorie nelle ultime due stagioni: 1-3 nel 2016-17 e 2-4 l’anno scorso, con due doppiette di Dzeko. Numeri considerevoli, ma qualcosa nel frattempo è cambiato: il Napoli di Sarri puntava sempre e comunque ad assediare l’avversario, ubriacandolo di infinite trame palla avanti-palla dietro. E questo alla Roma da trasferta, essenziale e pratica, non dispiaceva: lasciava fare e poi andava a caccia di spazi con ripartenze veloci. L’anno scorso le bastarono un cross spiovente di Florenzi e lo stacco di Dzeko per piegare la gara a proprio favore. Roba semplice, ma ben fatta. La squadra di Ancelotti è molto più verticale e non ha l’ossessione del possesso palla. I giallorossi probabilmente subiranno di meno, ma dovranno guardarsi dai raid degli avversari, che mordono come aspidi.
Se il Napoli è la “cima Coppi”, la trasferta di Firenze, sei giorni dopo, non è certo un cavalcavia. Su cinque partite disputate al Franchi, i viola ne hanno vinte quattro, impigliandosi solo sulla rete tesa domenica scorsa dal Cagliari, che ha portato a casa il pareggio. Freschezza atletica e qualità non mancano nel telaio di Pioli, la Roma dovrà far valere il carattere (non sempre reperito in dosi sufficienti in questa stagione) e un tasso di classe complessivamente maggiore.
Nei tapponi talvolta si va oltre confine, ed è quello che accadrà il 7 novembre, quattro giorni dopo il rendez vous di Firenze. Palcoscenico Champions, destinazione Mosca, nel mirino la sfida potenzialmente decisiva al Cska. Vincendo, i russi farebbero il sorpasso, e a quel a quel punto per la Roma le ultime due partite del girone sarebbero un thrilling ad alto rischio. Al netto di un inizio baldanzoso, all’Olimpico il Cska è lentamente affondato senza un grido, ed è chiaro che la Roma può mettere sul tavolo argomenti tecnici più convincenti. Però davanti agli oltre 70 mila spettatori dello stadio Luzhniki si è inchinato non più tardi di un mese fa il Real Madrid, sperare in una serata meno che difficile sarebbe un errore clamoroso. Al ritorno da Mosca la strada tornerà a spianare, anche perché, dopo l’impegno interno con la Sampdoria, è in programma la sosta. E allora, dopo tanto pedalare, sarà il tempo dei primi bilanci.
Sincero e diretto: «A forza di capitomboli il nostro obiettivo, che è la zona Champions, si allontana. Non ce lo possiamo permettere. Dobbiamo fare una grande partita per accorciare la classifica e dimostrarci all’altezza di un grande avversario». Eusebio Di Francesco non sa proprio cosa aspettarsi dalla sua Roma bipolare: in campionato fin qui ha buttato grappoli di punti e si è persa nel gruppone dove non si è né forti, né deboli. Nella melma di mezzo: «Mi fa rabbia pensare che ci servano degli schiaffi per ripartire. Dobbiamo essere più attenti nel preparare le partite. La capacità di trattare le partite allo stesso modo deve essere il nostro momento di crescita».
SPAURACCHIO. Una trasferta a Napoli in realtà non deve neppure essere stimolata. Proprio per questo dalle parole dell’allenatore traspare ottimismo, ricordando anche una vigilia molto simile vissuta lo scorso anno: «Fossi in loro, avrei paura della Roma. Lo dico in senso buono. Noi siamo imprevedibili per tutti, anche per me, essendo capaci di fare grandi cose ma anche di perdere la testa in pochi minuti. La nostra ricerca di continuità, di una serie di risultati, passa necessariamente per questa occasione, che dobbiamo sfruttare». Ma il Napoli è davvero più forte della Roma come dice il +7 in classifica? «Per quanto si è visto finora, loro sono stati più bravi dimostrando di essere la più vicina antagonista alla Juventus. E’ stata più brava anche l’Inter. Ma sono sicuro che la Roma abbia maggiori margini di miglioramento. Lo scorso anno, per esempio, il Napoli ci è stato superiore in campionato ma noi abbiamo giocato una semifinale di Champions. La nostra ambizione dev’essere quella di recuperare terreno, di trovare una struttura di squadra che si riveli imprevedibile dal punto di vista tattico, non comportamentale». Fino a tornare al vertice, potenzialmente: «La Juventus è stata sempre irraggiungibile in queste stagioni. Nell’ultima magari la distanza è diminuita. Beh, anche noi vogliamo ridurre il gap».
IL RIVALE. E’ la sua prima sfida in assoluto contro Carlo Ancelotti, un modello per tanti allenatori. Di Francesco ne apprezza le capacità di leader pur rivendicando la preferenza per un altro tipo di calcio: «Tatticamente abbiamo idee diverse. Per fortuna, perché è bello che ci siano diversi stili a confronto. Ma sul piano gestionale Carlo mi piace tantissimo. Ha questa qualità di valorizzare al massimo il gruppo di giocatori che ha a disposizione. Infatti tutti i giocatori di lui parlano bene». Vede molte differenze rispetto al Napoli di Sarri, a cominciare dal 4-4-2 che ha sostituito il 4-3-3, ma anche qualche punto in comune: «Il gruppo non è cambiato molto. E resta forte. Magari ora sfrutta meno la ripetitività degli schemi e va più in verticale».
TARGET. Poi naturalmente c’è Insigne, sul quale Di Francesco si sbilancia disegnando un cerchio con le mani: «E’ in un grande momento di forma. E nella nuova posizione, partendo dal centro invece che dalla fascia, è bravissimo a trovare la profondità. E’ sicuramente lui l’uomo con il circoletto rosso, da guardare con più attenzione. Per il resto ci stiamo attrezzando per contrastare il Napoli su ogni terreno, a seconda delle scelte che farà Ancelotti: un conto è se gioca Fabian Ruiz a centrocampo, un conto è Zielinski. Lo stesso in difesa: se c’è Maksimovic è una cosa, se entra un terzino di spinta cambia il tipo di gioco».
La Roma è partita per Napoli con 21 giocatori, a causa degli infortuni di Perotti, Pastore, Kluivert e Karsdorp. Ma almeno ha recuperato Kolarov: «E’ stato utile per lui saltare qualche partita. Ha potuto allenarsi recuperando una buona condizione atletica. Anche Florenzi e De Rossi sono a posto». Non esclude alcuna soluzione per sorprendere il Napoli ma ripete: «Ciò che più mi interessa è l’atteggiamento. L’ho detto tante volte. Abbiamo cambiato calciatori e sistema di gioco rispetto all’anno scorso, ci stiamo assestando, ma adesso non possiamo più permetterci passi falsi se vogliamo risalire». E per evitare che le nubi sul futuro, anche in panchina, non tornino a offuscare la sua visuale.
Santon titolare come terzino destro, Juan Jesus favorito su Fazio in difesa, tre uomini per due posti sugli esterni in attacco. La Roma stavolta si farò all’ultimo momento. L’allenamento di rifinitura, prima della partenza in treno per Napoli, tiene aperto qualche dubbio nella testa di Eusebio Di Francesco, essenzialmente a causa degli acciacchi di alcuni giocatori importanti.
BOUTADE. Florenzi, prima di tutto. Ieri l’allenatore ha cercato scherzosamente di minimizzare la sua assenza di giovedì in allenamento («Era l’anniversario del suo infortunio al ginocchio, ha preferito riposare per scaramanzia») ma poi si è accorto che l’affaticamento muscolare non è svanito. Se dovesse farcela, giocherebbe come esterno destro alto, protetto alle spalle da Santon, che stasera vorrà prendersi una rivincita sul Napoli che lo scartò qualche anno fa dopo le visite mediche. In caso contrario, conferma per Ünder che è pure piuttosto stanco dopo 4 partite consecutive giocate in 14 giorni, e per El Shaarawy sull’altro versante: ieri a Trigoria due tifose gli hanno fatto trovare un cartellone di auguri per i 26 anni. E’ la possibilità che ha preso corpo in serata.
sorpresa. Ma il piano B prevede lo spostamento di Ünder a sinistra, possibilità credibile soprattutto qualora il Napoli dovesse schierare ancora un terzino statico, Maksimovic, da quella parte. Di Francesco crede molto alla specificità dei ruoli ma in questo caso potrebbe ripensare all’idea proposta già un anno fa a Genova contro la Sampdoria, quando Ünder partì appunto dal lato mancino nella situazione di emergenza generale.
Di Francesco deciderà stamattina, dopo aver parlato ai calciatori. Vale anche per il secondo centrale di difesa da affiancare a Manolas. A ieri sera, Juan Jesus era davanti a Fazio come certificano gli ultimi test tattici. Fazio d’altra parte sta attraversando un momento di forma scadente e per di più ha avuto un fastidio muscolare. Se giocasse Juan Jesus, la coppia centrale sarebbe completamente ribaltata rispetto ai disastri di Roma-Spal, con bocciatura forse definitiva per Ivan Marcano, ancora inadeguato al calcio italiano.
La squadra è partita in treno nel tardo pomeriggio, raggiungendo l’albergo di Napoli in tempo per la cena. Non c’erano molti tifosi alla partenza: qualcuno in più alla stazione di Napoli, controllata da un cordone molto robusto di forze dell’ordine per motivi di sicurezza. Fortunatamente però non siamo più ai livelli di allerta delle ultime stagioni, quando la Roma era stata costretta a raggiungere Napoli con un volo charter, per essere prelevata sottobordo e infine scortata al ritiro, poco lontano dallo stadio San Paolo. Certe tensioni del recente passato, dopo la tragedia di Ciro Esposito, sembrano meno preoccupanti, anche se la trasferta è stata comunque proibita ai tifosi romanisti. La squadra rientrerà a Trigoria in nottata in pullman.
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