Il Covid-19 ha fatto il suo ingresso a Santa Marta. Invisibile e minaccioso ha infettato in silenzio anche la casa del Papa. Un suo collaboratore – un funzionario della Segreteria di Stato – che da anni abita nella residenza vaticana, è stato trovato positivo al tampone e immediatamente ricoverato per accertamenti. La sua salute non desta preoccupazioni ma di fatto il problema del contagio è ormai palpabile per chi vive dentro al piccolo stato pontificio. Le misure del caso, di fronte all’emergenza, sono già state attivate. Tanto per cominciare Papa Francesco vive praticamente recluso in pochi locali, al mattino celebra da solo nella cappella con i suoi tre segretari, pranza in solitudine nella sua stanza anche se riceve ancora i capi dicastero la mattina, spesso nel palazzo apostolico dove c’è più spazio. Le riunioni avvengono a debita distanza ma terminano sempre con una bella stretta di mano anche se precedentemente ‘amuchinata’, resa sterile. Agli ospiti viene fornito dai segretari l’igienizzante per le mani. Una precauzione necessaria.
In questi giorni il Papa ha chiuso l’Osservatore Romano e la tipografia e tanti uffici nelle congregazioni si apprestano finalmente a limitare il più possibile il lavoro dei dipendenti. I motori del Vaticano sono stati ridotti al minimo e di fatto è a un passo dal lock-down, la peggiore ipotesi che il pontefice aveva cercato di scongiurare, quasi scaramanticamente sin dall’inizio della pandemia, quando faceva di tutto per minimizzare sui rischi e non creare allarmismo.
Durante la sua ultima messa a Bari, il 23 febbraio, quando già a Bergamo si cominciava a morire, il Papa aveva dato disposizioni di non cambiare nulla della liturgia. La celebrazione con tutti i vescovi del mediterraneo si era svolta normalmente, con tanto di scambio del segno della pace, l’ostia era stata distribuita in bocca alla presenza di 40 mila persone stipate e del capo dello Stato, Mattarella arrivato per l’occasione. Tornando in Israele dove risiedevano due vescovi italiani presenti alla messa – Patton e Pizzaballa – erano stati subito messi in isolamento precauzionale da parte delle autorità israeliane. Una differenza di atteggiamento che era immediatamente saltata all’occhio
In Vaticano fino all’ultimo non erano pochi gli organismi – come per esempio i musei vaticani – che avevano frenato in ogni modo la chiusura degli spazi museali, nonostante vi fossero i custodi che da tempo continuassero a implorare alla direzione una maggiore attenzione alla salute oltre che la dotazione di mascherine e guanti per il personale. A costringere il Vaticano ad una ulteriore stretta era stato il primo caso di positività, un sacerdote che arrivava dalla zona rossa lombarda e aveva partecipato al convegno sulla intelligenza artificiale organizzato il mese scorso dalla Pontificia accademia per la vita.
Nel frattempo sono stati annunciati altri tre casi, due dipendenti del Musei Vaticani e un operaio del Governatorato. Infine stamattina è arrivata la notizia del contagio del monsignore della Segreteria di Stato che ora è ricoverato al Columbus. Le sue condizioni non destano allarme tuttavia la quarantena è la via obbligata e, di riflesso, anche le misure necessarie per la sanificazione sia di Santa Marta che quella del Palazzo Apostolico e della Segreteria di Stato. Praticamente l’anticamera del lock-down.
In molti si chiedono per quale motivo il Papa non voglia traslocare momentaneamente da Santa Marta all’Appartamento pontificio nel palazzo apostolico, molto più ritirato e controllato. Lì difficilmente il micidiale virus può arrivare senza essere annunciato. Una ipotesi che però il Papa non prende nemmeno in considerazione.
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