Jack Kosmicki dell’Harvard University, Mark J. Daly del Massachusetts General Hospital e i loro collaboratori hanno studiato 37.269 campioni genetici raccolti da grandi coorti di ricerca in tutto il mondo: i risultati del più ampio studio di mappatura genetica sul disordine dello spettro autistico mai realizzato finora sono stati presentati all’American Society of Human Genetics 2018 Annual Meeting a San Diego, in California.
Il team ha identificato 102 geni associati all’autismo, facendo progressi significativi verso la separazione dei geni legati a questa condizione rispetto a quelli collegati a disabilità intellettiva e ritardo dello sviluppo: “Con circa il doppio dei campioni di tutti gli studi precedenti, siamo stati in grado di aumentare sostanzialmente il numero di geni studiati, nonché di integrare i recenti miglioramenti alla metodologia analitica. Speriamo di creare una risorsa per l’analisi definitiva futura dei geni associati al disordine dello spettro autistico“, ha spiegato Daly.
Tra i 102 geni “chiave”, 47 sono risultati più fortemente associati alla disabilità intellettiva e al ritardo dello sviluppo rispetto alla sindrome dello spettro autistico, mentre 52 erano più fortemente correlati all’autismo e tre a entrambi.
Il disturbo della connettività neurale nell’autismo è caratterizzato da un eccesso di connessioni locali e da un difetto di connessioni a distanza tra differenti regioni funzionali del cervello. Questa organizzazione atipica della connettività è da imputare a uno sviluppo anomalo dei processi di apoptosi (morte cellulare programmata), di pruning (potatura delle arborizzazioni neuritiche superflue), di migrazione neuronale, di eliminazione/formazione delle sinapsi, di mielinizzazione, il cui risultato finale è il fallimento di una giusta orchestrazione tra eccitazione ed inibizione che è un aspetto chiave per la buona riuscita degli accoppiamenti transitori tra connessioni locali e connessioni a distanza. L’ipotesi dell’autismo come disturbo della connettività è congruente con il fatto che nell’autismo gli organi sensoriali, deputati a far arrivare al cervello gli stimoli del mondo esterno, non sono primariamente difettosi (ad esempio sono bambini che ci vedono e che ci sentono bene), quanto piuttosto lo sono i sistemi centrali deputati alla loro elaborazione (sono ad esempio bambini che non prediligono la faccia o la voce umana). È noto che il bambino con autismo appare ai genitori un bambino sordo pur avendo un esame audiometrico del tutto regolare. Nella figura, a sinistra è rappresentato il pattern di attivazione funzionale in un compito di attenzione visiva, in un bambino normale: la combinazione di una connettività locale all’interno di gruppi ben delimitati di neuroni, e di una selettiva connettività a distanza tra gruppi locali di neuroni, va a costituire una struttura nella quale l’informazione può essere efficacemente recepita, trasmessa ed elaborata. A destra è rappresentato il funzionamento del cervello di un bambino con autismo: i gruppi locali di neuroni sono tra loro più fortemente connessi e non adeguatamente delimitati e differenziati, perciò le connessioni a distanza sono particolarmente deboli o non si sviluppano affatto (da Belmonte, 2004).
Essere attivi provocatori
A differenza del quadro conclamato di autismo tipico dei bambini dopo i tre anni di vita, nelle prime fasi dello sviluppo il bambino affetto da autismo mostra una organizzazione sintomatica ancora debole che ruota attorno a deficit, spesso fluttuanti, a livello delle abilità intersoggettive. Il fatto che queste abilità siano di tanto intanto presenti può erroneamente rassicurare il clinico che, spesso ancor più dei genitori, è incline a pensare che quei singoli e sporadici comportamenti sociali potranno aumentare man mano che il bambino cresce. Tuttavia, nei bambini con autismo, questi precoci comportamenti sociali sono molto meno frequenti rispetto a quanto accade nei bambini con sviluppo tipico; essi hanno inoltre la caratteristica di comparire raramente su iniziativa diretta del bambino quanto piuttosto come risposta ad un adulto molto attivo che cerca di provocare nel bambino la risposta intersoggettiva. I lattanti con autismo possono infatti essere in grado di rispondere se attivamente stimolati dall’adulto durante le protoconversazioni, ma raramente mostrano di avere loro stessi l’iniziativa di provocare l’altro per invitarlo ad interagire con lui. In altre parole, c’è una mancanza di quella spinta endogena verso le altre persone che è tipica dei lattanti normali i quali mettono spesso in atto comportamenti attivi di ricerca dell’altro anche quando l’altro non li sta stimolando. Al contrario, i lattanti con autismo possono essere coinvolti solo a partire dalla intenzionalità dell’altro. Ciò fa pensare che in questi bambini vi sia una precocissima mancanza di iniziativa nel condividere con l’altro le azioni; mancherebbe cioè nell’autismo quell’istinto a provocare l’altro che è presente sin dai primi mesi della vita umana come una componente essenziale della soggettività. Infatti, una delle caratteristiche più precoci di molti bambini con autismo è il loro essere neonati e lattanti ipoattivi, lenti, con pochi contatti oculari, ipomobili. L’osservazione dell’intenzionalità delle azioni verso l’altro e la provocazione dell’altro sono quindi item chiave nella valutazione precoce dello sviluppo dell’intersoggettività e dei suoi difetti nell’autismo.
Non è un fenomeno tutto o nulla
Un elemento centrale nel cercare di riconoscere un lattante con autismo è il non fermarsi a sapere se un certo comportamento sociale è presente o assente nel bambino: ciò che è più importante è sapere se quel certo comportamento sociale compare più volte, in diverse situazioni, anche su iniziativa del bambino e non solo come risposta ad un invito caloroso e ripetuto da parte dell’adulto. Ciò che caratterizza l’autismo precoce non è infatti l’assenza totale di comportamenti intersoggettivi quanto piuttosto la loro debolezza. Bisogna tuttavia tenere presente che la utilizzazione di comportamenti sociali semplici per un tempo sufficientemente lungo, in diversi contesti e in modo spontaneo, fa sì che essi entrino più facilmente a far parte di comportamenti intersoggettivi più complessi. Questa transizione da interazioni sociali semplici a comportamenti intersoggettivi più complessi di condivisione dell’interazione (che è senz’altro inscritta nel nostro corredo genetico) prevede, per la sua piena realizzazione, l’azione esercitata da interazioni sociali emotive ed eccitanti che non sono inscritte nel cervello ma che sono da quest’ultimo attese. Secondo questa prospettiva epigenetica – che si riferisce cioè al controllo della espressività genetica da parte dell’ambiente – i precoci comportamenti sociali semplici sono in attesa e necessitano di situazioni interattive vivide per potersi sviluppare ed evolvere. Ed in effetti i genitori paiono conoscere questa regola dello sviluppo quando, spontaneamente ed in modo progressivo nel corso del primo anno di vita, intensificano questo tipo di interazioni sociali associandole a emozioni, gesti e parole. Tale intensificazione (detta anche marcatura) degli affetti viene realizzata dal genitore attraverso l’esagerazione della normale espressione emotiva ed essa sollecita nel bambino, anche in quello con autismo, la espressione delle competenze sociali semplici. Perciò raramente le competenze sociali semplici sono totalmente assenti nei bambini che stanno sviluppando un autismo per i quali l’aumento di modalità interattive vivide ed enfatizzate paiono particolarmente appropriate nel ridurre le specifiche difficoltà del bambino nell’esprimere le emozioni e nel connetterle ad azioni motorie intenzionali dotate di uno scopo. Per questo motivo gli interventi precoci utilizzano spesso la marcatura affettiva come uno strumento prezioso per sollecitare l’emergere delle competenze sociali nel bambino con autismo.
Quando la relazione a due non basta più Fino ai 4-6 mesi il bambino con sviluppo tipico è capace di impegnarsi in interazioni o con gli oggetti o con le persone; egli è in grado di interazioni sociali vivide e di alternare (ma non realmente coordinare) l’attenzione focale verso le persone (per esempio la madre che si avvicina o che gli parla) ad una attenzione focale verso gli oggetti (per esempio la piccola farfalla che si muove sulla culla). Gli oggetti, in questo periodo, non sono ancora parte di una vera interazione sociale triadica (bambino, adulto, oggetto). È tra i 6 e i 9 mesi che l’attenzione per gli oggetti e l’attenzione per le persone diventano maggiormente coordinate. Da questo momento i bambini non sono capaci soltanto di alternare la propria attenzione o verso gli oggetti o verso le persone, ma diventano anche capaci di coordinare l’attenzione per gli oggetti e per le persone e di essere interessati ad azioni di gioco condiviso. La risposta al proprio nome, che compare proprio in questo periodo, segna questo passaggio. Infatti quando compare questa competenza il bambino mentre è concentrato su una azione esplorativa con l’oggetto mostra un interesse preferenziale per il richiamo sociale del genitore che lo chiama per nome, distogliendo l’attenzione dall’oggetto e volgendosi verso l’adulto che lo ha chiamato, potendo poi scegliere se proseguire tale interazione sociale o riportare la propria attenzione sull’oggetto con cui stava giocando o ancora di iniziare una interazione triadica soggetto-oggetto-adulto ad esempio mostrando o offrendo a quest’ultimo l’oggetto con cui stava giocando. Quindi, l’esperienza intersoggettiva, che nei primi sei mesi si sviluppa massimamente attraverso gli scambi comunicativi faccia-a-faccia carichi di affetti, gesti, emozioni e vocalizzazioni, a partire dai sei mesi si arricchisce delle prime forme di condivisione con l’adulto dell’attenzione per gli oggetti. Questo passaggio verso scambi sociali di condivisione triadica è un aspetto particolarmente critico nell’autismo.
Il mondo non è come me Sin dalle età più precoci i bambini e i loro genitori mostrano comportamenti protodialogici nei quali sincronizzano il loro comportamento in un modo bidirezionale. Tali interazioni sociali sincroniche sono basate sull’imitazione e forniscono al bambino l’opportunità di confrontare i propri ritmi e le proprie azioni con quelle dell’altro, creando così momenti relazionali condivisi. L’imitazione precoce presuppone una attenzione focale su una azione compiuta dall’altro ed una ripetizione dell’azione osservata; a tale ripetizione segue poi un’altra azione, leggermente modificata, dell’adulto creando così un circolo virtuoso che pone le basi per lo sviluppo dei comportamenti di anticipazione dello scopo dell’azione dell’altro. L’imitazione e i comportamenti di anticipazione sono sottesi da un buon funzionamento del sistema dei neuroni specchio e i loro difetti sono tra i più precoci indici di rischio per uno sviluppo autistico (BOX 4 – pag. 12). Un corretto sviluppo dell’imitazione è importante anche per un altro aspetto dello sviluppo del bambino. Durante i primi tre mesi di vita, il bambino è molto sensibile alla perfetta contingenza tra le proprie attività corporee (come ad esempio il movimento ripetuto delle gambe) e gli eventi (ad esempio un dondolio) da lui procurati ad un oggetto. Tali contingenze perfette, provocate di solito da ripetizioni cicliche di attività centrate sul corpo, forniscono al bambino una fonte importante di informazioni per lo sviluppo dello schema corporeo e della differenziazione del sé. Tuttavia, la pressione evolutiva per l’adattamento all’ambiente esterno fa sì che i bambini spostino, dopo i primi tre mesi di vita, la loro preferenza per queste contingenze perfette, basate su di sé, alle contingenze imperfette basate sull’ambiente esterno e sull’imitazione. A cinque mesi il bambino mostra già una chiara preferenza per le interazioni non-contingenti di cui l’imitazione è un tipico esempio.
1 comment