Il saldo 2019 rappresenta il canto del cigno della TASI, il tributo per i servizi indivisibili che dal 2014, assieme all’IMU (imposta municipale sugli immobili) e alla TARI (tassa sui rifiuti), ha dato vita – secondo la fervida fantasia del legislatore – alla IUC, l’imposta unica comunale.
È un tributo-contenitore “astratto”, probabilmente nient’altro che un machiavellico escamotage lessicale per far apparire come uno solo quelli che, in realtà, sono tre distinti balzelli, ciascuno regolamentato da una propria disciplina.
Tant’è che il disegno di legge di bilancio per il 2020, attualmente all’esame del Parlamento, nel riformare l’assetto dell’imposizione immobiliare locale tramite l’unificazione delle due vigenti forme di prelievo (IMU e TASI), propone in prima battuta, a decorrere dal prossimo anno, l’abolizione della IUC, lasciando in vita la TARI con le regole attuali e dettando una specifica disciplina per la nuova IMU che, di fatto, assorbe anche la pensionanda TASI.
Quello di metà mese, dunque, è l’appuntamento finale con la TASI che, una volta portati a casa (ovvero, per meglio dire, in Comune) gli ultimi risultati monetari grazie al saldo per il 2019, abbandonerà in via definitiva la scena, lasciandola tutta alla “sorella maggiore” IMU. L’uscita di scena del tributo appare più che giustificata, considerato che, di fatto, la TASI si presenta come un doppione dell’IMU, con presupposto impositivo, base imponibile, esenzioni e agevolazioni quasi completamente sovrapponibili.
Imposte sovrapponibili
Sulla carta, dovrebbe finanziare i servizi indivisibili, cioè quelli forniti indistintamente alla collettività e che, vista l’impossibilità di stabilirne l’effettiva fruizione, non possono essere addebitati al singolo cittadino in maniera individuale (illuminazione pubblica, giardini, servizi cimiteriali, pulizia e manutenzione delle strade, vigilanza, sicurezza, protezione civile, ecc.).
In realtà, il collegamento tra la tassa e i servizi che la stessa dovrebbe assicurare è estremamente labile: la normativa, infatti, dispone semplicemente che il Comune indichi i servizi che vorrebbe sostenere con quel tributo, senza però prevedere né alcun vincolo effettivo a quella destinazione né, tanto meno, l’esclusione dei contribuenti dall’assoggettamento a tassazione, qualora i servizi attesi non vengano forniti o risultino insufficienti. In verità, di unificazione tra IMU e TASI si era già parlato lo scorso anno durante i lavori parlamentari della passata legge di bilancio, ventilandone la decorrenza dal 2019 (vedi “leggi illustrate” di dicembre 2018).
Ma l’emendamento, di matrice leghista, non aveva ottenuto consensi unanimi e la proposta era stata accantonata. Ci riprova ora la nuova legge di bilancio, che intende spazzare via la TASI, con la puntualizzazione che l’operazione deve avvenire a “invarianza di gettito”, cioè senza modificare l’entità complessiva del prelievo. A tale scopo, viene stabilito che l’aliquota massima della nuova IMU, cioè quella che andrà pagata a partire dal prossimo anno, non potrà sforare il livello dell’11,40 per mille, corrispondente all’attuale tetto del 10,60 per mille (somma di IMU e TASI) più la maggiorazione dello 0,80 per mille (c.d. “super TASI”), che i Comuni hanno la facoltà di deliberare.
Ad ogni modo, delle novità in materia, applicabili a partire dal periodo di imposta 2020, avremo modo di parlare a legge di bilancio approvata. Tornando all’attualità, più precisamente all’adempimento in scadenza lunedì 16 dicembre, ossia il versamento di IMU e TASI a titolo di saldo per l’anno 2019, la prima cosa – fortunatamente positiva – da ricordare è che continuano ad essere completamente esenti da entrambi i tributi sia le abitazioni principali “non di lusso”, cioè quelle non classificate nelle categorie catastali di maggior prestigio (A/1, A/8 e A/9), sia le relative pertinenze, come soffitte, cantine, box, ecc., ma con un preciso limite per queste ultime: può beneficiare dell’esenzione una sola unità immobiliare per ciascuna delle categorie C/2, C/6 e C/7. Il beneficio – è bene sottolineare –spetta non solo quando l’immobile rappresenta l’abitazione principale di chi lo possiede a titolo di proprietà o di altro diritto reale (ad esempio, l’usufruttario), ma compete anche all’inquilino o al comodatario che destina l’appartamento preso in affitto o ricevuto in uso gratuito a propria abitazione principale, cioè vi fissa sia la dimora abituale sia la residenza anagrafica.
Conteggi a carico del contribuente
Questo perché, mentre l’IMU colpisce i possessori di unità immobiliari (oltre che quelli di aree agricole o edificabili, con le immancabili eccezioni, che poi vedremo), la TASI, invece, è parzialmente dovuta anche dal detentore od occupante. Quest’ultimo è tenuto a pagare una quota tra il 10 e il 30% del tributo complessivamente gravante sul fabbricato, secondo quanto stabilito dalla competente amministrazione comunale; in assenza di una specifica deliberazione da parte dell’ente locale, l’inquilino/comodatario risponde della misura minima, il 10%. In ogni caso, come si diceva, se utilizza la casa come propria abitazione principale, non paga alcuna cifra. In quest’ultima ipotesi, comunque, non cambia il livello di tassazione a carico del possessore, che continua a pagare esclusivamente la quota di sua pertinenza (tra il 70 e il 90%), come definita dal regolamento comunale; se l’ente non ha preso nessuna decisione in merito alla ripartizione della TASI, il possessore è tenuto a pagare il 90% dell’importo totale. Trattandosi di due tributi da “autoliquidare”, il Comune non invia modelli di pagamento precompilati, ma è lo stesso contribuente tenuto all’obbligazione a doverne anche quantificare l’importo. Nelle pagine che seguono, le indicazioni per assolvere correttamente all’adempimento.
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