Din-din-din. No, non è il postino che suona (magari anche due volte). E il trillo dello smartphone che ci avvisa che c’è posta per noi, su WhatsApp. E voi che fate parte di gruppi lo sapete bene che non è il messaggio di un’amica o del marito, né della mamma. È la notifica di uno dei mille assembramenti anti-contatti-diretti di cui fate parte. E subito si scatena quella irresistibile voglia di buttare lo smartphone, se non nel mare, almeno nel lavandino.
Gruppi formali usati male «Tutti i gruppi nascono con intenti lodevoli, per comunicare notizie o aggiornare i membri in tempo reale su questioni importanti», spiega il dottor Paolo Grampa, psicologo e psicoterapeuta a Milano e Busto Arsizio (VA) e socio dell’associazione Alice Onlus, «peccato che poi abbandonino il giusto tracciato e deraglino verso tutt’altro». Ecco, quindi, che i gruppi-scuola o quelli dell’ufficio sono usati come valvola di sfogo personale. Non più informazioni, ma emoticon, Gif animate, racconti personali, off-topic. Soprattutto, per alcuni i gruppi WhatsApp diventano un’alternativa ai rapporti personali, se non addirittura uno “scarico” di responsabilità. Tuo figlio non aggiorna il diario? Invece di impazzare sul gruppo con mille domande, prova a spiegargli che è lui che deve tenere traccia di compiti, appuntamenti e interrogazioni. Deresponsabilizzare i figli non solo è diseducativo, ma comporta anche una saturazione immotivata (e non pertinente) della chat. Per evitare la caduta negli inferi, basta fare mente locale sul motivo per cui ogni singolo gruppo è stato creato e bannare ogni commento che non sia attinente.
Le derive: critiche e pettegolezzi «Quando la comunicazione è mediata, come nel caso dei gruppi WhatsApp, si sviluppano due fenomeni noti in psicologia sociale già dagli anni Sessanta: uno è la diffusione di responsabilità, l’altro concerne la comunicazione senza filtri», precisa il dottor Grampa. In poche parole, se nel gruppo si scatenano polemiche, critiche o maldicenze, è probabile che l’80°/o dei partecipanti lasci agli altri il compito di intervenire.
Nel secondo caso, invece, siccome ci si sente protetti da uno schermo, si usano toni e parole che, quasi sicuramente, non si avrebbe il coraggio di utilizzare se si parlasse di persona.
Alcuni aggiornano sempre C’è poi chi usa i gruppi come se fossero una sorta di confessionale. Avete presente chi, nel gruppo del corso pre-parto o in quello dell’ufficio, si sente in diritto a qualsiasi ora del giorno e della notte di aggiornarvi sulle evoluzioni della bambina o sulla cenetta romantica finita male? «Queste persone “WhatsApp-addicted” dovrebbero comprendere, però, che trattandosi di gruppi legati a scopi precisi, come tali andrebbero usati, rispettando anche gli orari», conclude il dottor Grampa.
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