Ciao mamma,
Devo raccontarti una cosa che mi è successa e che, ancora adesso, mi lascia senza parole. Non so se chiamarla coincidenza, destino o qualcosa di più profondo. Ma una cosa è certa: non potrò mai dimenticarla.
Tutto è iniziato in modo molto semplice: con una passeggiata silenziosa al cimitero.
Era sabato pomeriggio. Non avevo un motivo preciso per andarci. A volte mi capita di voler camminare tra le tombe, riflettere, trovare un po’ di pace nel silenzio. Mi fa sentire più presente, più consapevole del tempo e della vita. Così, senza fiori né un piano, ho deciso di fare una breve visita.
Stavo camminando lungo un sentiero secondario quando ho notato una tomba trascurata. Il marmo era sporco, il nome quasi illeggibile, nessun fiore, nessuna candela. Era evidente che nessuno fosse passato di lì da anni. Non so cosa mi abbia spinta, ma mi sono fermata. Ho sentito il bisogno di fare qualcosa.
Avevo in macchina una bottiglia d’acqua e un piccolo panno, così sono andata a prenderli. Ho iniziato a pulire la tomba, a rimuovere la polvere, le foglie secche, le ragnatele. Poco a poco, il nome è tornato visibile:
Vera A. Litvinova, 1985–2003.
Ho sentito un brivido. Quel nome… mi sembrava familiare. Ma non riuscivo a capire da dove.
Ho terminato la pulizia, ho lasciato lì i fiori che avevo comprato per un’altra tomba e sono tornata a casa. Avevo una sensazione strana, ma anche un senso di pace. Avevo fatto una buona azione. E pensavo fosse tutto lì.
Ma la mattina dopo…
Mi sono svegliata come sempre. Ho fatto il caffè, sono uscita per prendere la posta… e nella cassetta ho trovato un foglio piegato. Non una busta, solo un foglio di carta ingiallita, scritto a mano. La calligrafia era ordinata, elegante. Sul foglio c’era scritto:
“Grazie per esserti ricordata di me. Era importante. Mi sei mancata. – Vera”
Sono rimasta immobile. Chi poteva averlo scritto? Nessuno sapeva che ero andata al cimitero. Non l’avevo detto a nessuno. Non avevo pubblicato nulla. Nessuno mi aveva seguita.
E poi quel nome. Vera. Impossibile.
Chi era Vera?
Non riuscendo a darmi pace, ho iniziato a cercare su internet. E l’ho trovata. Vera Litvinova era una ragazza che aveva frequentato la mia stessa scuola, anni fa. E all’improvviso ho ricordato: era lei. La bambina con cui parlavo sempre in biblioteca, in quinta elementare.
Una piccola amicizia dimenticata nel tempo.
All’epoca si diceva che la sua famiglia si fosse trasferita all’estero. Ma la verità era un’altra: era morta in un incidente nel 2003.
Avevo pulito la sua tomba.
Senza sapere chi fosse.
Senza sapere che l’avevo conosciuta.
E ora ricevevo quel messaggio. Un ringraziamento. Un saluto. Una memoria riemersa dal passato.
Coincidenza? O qualcosa di più?
Forse sì, una coincidenza. Magari qualcuno ha visto cosa ho fatto e ha voluto lasciarmi un biglietto simbolico. Ma chi avrebbe potuto sapere che conoscevo Vera? Che quel gesto avrebbe significato qualcosa per me? E come avrebbero potuto sapere il mio indirizzo?
Oppure… c’è qualcosa che non possiamo spiegare.
Un filo invisibile tra le persone. Tra chi è ancora qui e chi non c’è più. Tra chi ricorda e chi ha bisogno di essere ricordato.
Da quel giorno, ogni volta che vado al cimitero, scelgo una tomba dimenticata.
Non importa di chi sia.
L’importante è che qualcuno si fermi, anche solo per un momento, a riconoscere che lì c’è stata una vita.
Qualcuno che ha amato, vissuto, sperato.
Forse non riceverò mai più un biglietto.
Forse non succederà mai più qualcosa di simile.
Ma io continuerò a farlo.
Perché credo che il ricordo sia la forma più semplice e più profonda di amore.
Questa non è una storia di paura. È una storia di connessione.
Di memoria.
Di un piccolo gesto che ha risvegliato qualcosa di dimenticato.
Non sappiamo mai davvero che significato possano avere le nostre azioni per chi ci osserva — da vicino o da lontano.
E forse, quando meno ce lo aspettiamo, qualcuno ci dirà:
“Grazie per non aver dimenticato.”
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