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Morta per trasfusione errata, l’anestesista rompe il silenzio: “Volevano che mentissi, li ho denunciati”



L’anestesista coinvolta nel caso di Carla Raparelli, deceduta a causa di una trasfusione sbagliata, racconta la verità e le pressioni subite.



L’inchiesta sulla tragica morte di Carla Raparelli, avvenuta il 9 marzo 2023 presso la clinica Maria Pia Hospital di Torino, si sta chiudendo con l’accusa di omicidio colposo e falso ideologico nei confronti di un medico e di un infermiere. La vicenda ha preso piede grazie alla procedura di denuncia presentata dall’anestesista di 44 anni, che, nonostante le conseguenze sul suo lavoro, ha deciso di rivelare la verità.

Mi pressavano per mentire”, racconta l’anestesista, spiegando che alcuni dirigenti della clinica volevano insabbiare l’accaduto. “Ho dovuto affrontare momenti estremamente difficili. Non potevo semplicemente ignorare quello che era successo.” Secondo la ricostruzione fornita dagli inquirenti, alla signora Raparelli fu somministrata una trasfusione destinata a un altro paziente, con esiti tragici.

Le pressioni e la scelta morale

La professionista ricorda quel drammatico momento in cui, dopo aver tentato disperatamente di salvare Carla, ha ricevuto una rivelazione da un’infermiera: “La signora è stata male perché abbiamo sbagliato la sacca della trasfusione.” Quella frase ha segnato l’inizio della sua battaglia contro un tentativo di insabbiare il grave errore. “Dopo quel momento, ho sentito il dovere di agire e informare le autorità. Non era giusto nascondere una verità tanto grave.”

Nonostante le pressioni ricevute dai dirigenti della clinica, che l’hanno invitata a firmare documenti che avrebbero potuto compromettere le indagini, la dottoressa ha mantenuto fermo il suo rifiuto. “In quei tre lunghi ore mi sono sentita sotto attacco. Volevano che vestissi il ruolo di chi copre la verità. Ma ho deciso di non cedere”, prosegue la dottoressa. “Ho una moralità e sono convinta che i pazienti meritino rispetto e giustizia.”

Le conseguenze di tale scelta, purtroppo, non sono state senza effetti. “Dopo la denuncia, venni convocata dai dirigenti della clinica senza preavviso. Mi dissero che sarei stata trasferita, mi chiamarono incapace e dissero che nessuno voleva più lavorare con me.” Questo avvenimento ha scosso profondamente la sua carriera e la sua vita professionale.

L’esito dell’inchiesta

L’inchiesta condotta dal pubblico ministero Giorgio Nicola ha portato a un importante sviluppo: la chiusura del caso con richiesta di rinvio a giudizio per le persone coinvolte. L’accusa per i due professionisti della clinica è di non aver rispettato le procedure di controllo richieste per le trasfusioni, un errore fatale che ha portato alla morte di Carla.

“In questo momento difficile, voglio che tutti sappiano cosa è accaduto”, afferma l’anestesista. Dopo aver deciso di lasciare il Maria Pia Hospital, ha già trovato un nuovo lavoro in un’altra struttura. “Mi sono sposata e sono pronta a presentarmi in tribunale per testimoniare ciò che ho visto e vissuto. La giustizia deve essere fatta”, conclude con determinazione.

La sua storia non è solo una testimonianza di un errore tragico, ma anche una lezione sul valore della verità in ambito sanitario. La speranza è che questo caso possa servire da monito per evitare simili tragedie in futuro e per garantire una maggiore responsabilità all’interno delle strutture sanitarie. La vita di ogni paziente deve essere sempre al primo posto, proprio come la dignità e il coraggio di chi lavora per salvarli.



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