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Come finisce Next: trama e spiegazione del finale del film



“Next” è un film d’azione sci-fi del 2007 diretto da Lee Tamahori e interpretato da Nicolas Cage, Julianne Moore, Jessica Biel, Thomas Kretschmann, Tory Kittles e Peter Falk. La sceneggiatura originale del film è stata liberamente ispirata al racconto di fantascienza “The Golden Man” di Philip K. Dick. Uscito il 25 aprile 2007, in Belgio e Francia, e il 27 aprile 2007 negli Stati Uniti distribuito dalla Paramount Pictures. Con un budget di produzione di 70 milioni di dollari, il film ne ha incassati in tutto il mondo solamente 76.



Trama e Personaggi

“Next” racconta la storia di Cris Johnson (Nicolas Cage), un piccolo mago di Las Vegas, che ha un dono: la sua abilità gli consente di vedere nell’immediato futuro. Questo dono lo rende un bersaglio non solo di un gruppo di terroristi altamente motivato e pesantemente armato, ma anche dell’FBI che vorrebbe il suo aiuto “particolare” per riuscire a combattere quegli stessi terroristi.

Tra tutti i vari adattamenti di Philip K Dick, romanzi e storie brevi sfornate da Hollywood dalla morte dell’autore – avvenuta nel 1982 – “Next” di Tamahori è sicuramente il più debole. Basato sul romanzo, “The Golden Man”, pubblicato per la prima volta nel 1954, “Next” esalta l’ambientazione post-apocalittica, con thriller fantascientifico di cui è protagonista Nicolas Cage. L’unico elemento che “Next” mantiene da “The Golden Man” è il nome del suo eroe (Cris) e la sua capacità di guardare nel prossimo futuro. In “Next”, Cris è un mago losco e dai capelli lisci di Las Vegas che si esibisce con il nome d’arte di Frank Cadillac. Quando non bighellona fumando e bevendo cocktail, usa le sue abilità precognitive nelle sue esibizioni, in cui indovina i nomi delle persone che fanno parte del pubblico e predice quando la collana di una ragazza sta per cadere dal suo collo. Dopo una breve ma avvincente introduzione, in cui Cris tradisce il blackjack e sventa un tentativo di rapina, arriva l’agente della sicurezza nazionale, Callie Ferris (Julianne Moore).

Il ruolo dei terroristi

Per ragioni che non sono mai state spiegate in modo soddisfacente, un gruppo di terroristi europei ha rubato una bomba nucleare e ha in programma di farla esplodere da qualche parte a Los Angeles. Ferris ripone la propria fiducia su Cris come l’unica persona in grado di localizzare la bomba prima dell’esplosione. Mentre Cris pensa che le sue abilità siano troppo limitate per essere utili a questa causa, Callie lo inseguirà per tutto lo stato della California, finché non farà quello che lei desidera.

La trama e i personaggi di “Next” sono decisamente confusi, a causa delle numerose revisioni subite dalla sceneggiatura. Le prime bozze dello scrittore Gary Goldman videro Callie e i suoi agenti come antagonisti spietati, disposti a fare del male fisico a Cris per convincerlo a collaborare; di questa parte di sceneggiatura ne sono rimasti strascichi nel finale, in particolare in una scena che lontanamente fa riferimento a “Arancia Meccanica”: catturato e legato a una sedia, con gli occhi chiusi, Cris è costretto a guardare un notiziario e descrive ciò che vede dopo. Nonostante questa traumatica violazione dei suoi diritti umani, Cris si allea con Callie.

Un finale confuso e aperto

Quello di “Next”, secondo la critica, è uno dei finali più caotici di sempre, tutt’altro che soddisfacente, anche se è uno dei pochi sviluppi della trama del film che ha un minimo di senso. Le continue scene di inseguimento avrebbero potuto essere rese più avvincenti, se fosse stato dedicato più tempo a stabilire le identità e le motivazioni dei terroristi. Invece, il loro ruolo è quasi inesistente e le loro azioni si svolgono quasi esclusivamente lontano dalla telecamera. Il finale di tutta la vicenda è a libera interpretazione: la storia è solo tutta una premonizione? La decisione è lasciata allo spettatore più attento.

Una riflessione sulla poetica di Gus Van Sant

Di quando in quando è possibile rintracciare opere cinematografiche in grado di trascinare lo spettatore progressivamente sempre più vicino alle lacrime senza per questo correre mai il rischio di essere considerate ricattatorie, furbe o calcolatrici: si tratta di istanti di cinema sublimi, pressoché privi di sovrastrutture o di costruzioni narrative ed estetiche alla ricerca del mirabolante. Fa parte di questa particolare élite “L’amore che resta” (Restless, in originale), il film di Gus Van Sant scelto dalla sessantaquattresima edizione del Festival di Cannes per aprire ufficialmente la sezione “Un certain regard”: reduce dalle pose quasi mainstream di Milk, il cineasta statunitense torna in questa occasione a confrontarsi con la poetica trattenuta e minimale che ha rappresentato il fulcro delle sue opere a partire da “Gerry” (2002). Nel raccontare la delicata e impossibile (perché ostacolata dalla vita stessa) storia d’amore tra la darwiniana Annabel e il frequentatore di funerali Enoch, Van Sant si affida a uno stile rapsodico, attento ai dettagli eppure allo stesso tempo sorprendentemente semplice: una relazione di pochi mesi, fatta di impulsi improvvisi e razionali digressioni sulla vita e sulla morte; di nomi, razze e tipologie di uccelli; di fantasmi che si vorrebbero scacciare dalla mente e di altri dei quali non si può fare a meno per tirare avanti.

Un mondo racchiuso in una sceneggiatura

Racchiuso tra le righe dell’ottima sceneggiatura di Jason Lew c’è un intero mondo, costruito attorno a una coppia che non ha più relazione alcuna con ciò che la circonda: tra le maschere mostruose che affollano la notte di Halloween, Annabel ed Enoch sono perfettamente a loro agio, perché la loro stessa esistenza è cristallizzata in un limbo indistinto, nel quale una partita a battaglia navale può rappresentare l’apice di un percorso umano. Pur adagiato sulle forme e le istanze di un’opera di maturazione – con Enoch che deve una volta per tutte fare i conti con la morte dei propri genitori, imparando da un altro decesso imminente le regole base per prendere parte alla congrega dei viventi – “L’amore che resta” è un piccolo e fragile componimento poetico, che si apre sulle note dei Beatles e si chiude sul dolore della potente voce di Nico in “The Fairest of the Season”: come tutte le poesie, appare perfino criminoso inquadrarne la forza attraverso una lettura esclusivamente razionale. Ciò equivarrebbe a conti fatti a svilirne l’impatto, riducendo l’intrico di emozioni che Van Sant lascia deflagrare sullo schermo alla semplicistica schematizzazione di una storia d’amore come le altre. Perché “L’amore che resta” mette in scena qualcosa di più o, per meglio dire, di diverso dalla tipica narrazione di un innamoramento, credibile o meno che esso sia: è il fermo immagine su due anime solinghe e allo stesso tempo sulla natura intrinseca dell’uomo, sulla sua irrefrenabile ricerca della tenerezza e, ancor più, della comprensione sincera.

La maestria di Gus Van Sant

Nulla di più adatto all’estetica cui ci ha abituato Van Sant, in fin dei conti: anche in “Restless” la messa in scena è sempre misurata, lontana da qualsiasi tentazione melodrammatica, essenziale ma non secca, dotata anzi di una propria morbida rotondità che non assomiglia a null’altro. Il nitore dello sguardo del regista di “Drugstore Cowboy” ed “Elephant” annichilisce con la sua forza anche la resistenza dello spettatore più ostinato: una pulizia della messa in scena che non è mai asettica e mai eccessivamente rigorosa, ma bensì ricca di una vitalità trasportante. Era dai tempi di “Harold e Maude” che il cinema a stelle e strisce non aveva il coraggio di ragionare sull’elaborazione del lutto e della perdita sprigionando una debordante e sincera passione per la vita. Che è ciò, a ben vedere, che Annabel (insieme al fantasma Hiroshi) insegna al disilluso Enoch: a Gus Van Sant basta l’accenno di un sorriso in primo piano per raccontarlo, trascinandoci a un passo dal baratro. Ma senza paura.

Le interpretazioni dei protagonisti

Straordinaria l’interpretazione naturalista e priva di birignao della coppia di protagonisti, Henry Hopper e Mia Wasikowska; ottimo anche Ryo Kase, visto di recente al Far East di Udine nello spassoso “Cannonball Wedlock”.



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