Io Capitano, il film diretto da Matteo Garrone, si conclude con una scena intensa e potente, portando a termine l’odissea dei protagonisti Seyodu (Seydou Sarr) e Moussa (Moustapha Fall). Costretti a guidare un peschereccio carico di persone dalla Libia all’Italia, Seydou, giovane e inesperto, si trova a dover condurre la nave mentre il suo amico Moussa è ferito e immobile, in attesa di cure.
Nel culmine della storia, la tempesta colpisce, lasciando l’equipaggio senza rotta e sull’orlo della sopravvivenza. La scena finale offre speranza e potenza: l’inquadratura si stringe sugli occhi lacrimanti di Seydou mentre un elicottero della guardia costiera italiana avvista il peschereccio in acque italiane. Nell’ultimo istante, fiero di sé, Seydou grida: “Io Capitano!”
Il film, presentato in anteprima mondiale alla 80° Mostra d’Arte Cinematografica di Venezia, ha guadagnato il prestigioso Leone d’Argento alla Regia. Inoltre, ha ricevuto importanti candidature ai Golden Globe e agli Oscar come miglior film internazionale. Io Capitano è un’opera toccante e storica, diventando il primo film italiano nella cinquina degli Oscar per i film stranieri dopo i successi di Paolo Sorrentino con La grande bellezza ed È stata la mano di Dio.
Io Capitano: Il Ritorno di Garrone all’Immigrazione con una Prospettiva Magica
Io Capitano, l’ultima fatica cinematografica di Matteo Garrone, presentata al Festival di Venezia 2023, è un ritorno avvincente del regista al tema dell’immigrazione dall’Africa. Il film, premiato con il Leone d’Argento alla miglior regia per Garrone e il Premio Marcello Mastroianni al giovane protagonista Seydou Sarr, si distingue per la sua capacità di trasformare la dura realtà in una favola, incanalando la magia del (neo)realismo magico.
La trama si ispira a storie vere di migranti, inclusa quella di Kouassi Pli Adama Mamadoum e del minorenne Fofana Amara. Ambientata a Dakar, Senegal, segue i cugini Seydou e Moussa che intraprendono un viaggio verso l’Europa non per sfuggire a guerra o fame, ma spinti dall’ambizione di una vita migliore e la speranza di diventare famosi con la produzione di canzoni rap.
Garrone adotta uno sguardo interno alla vicenda, raccontando la storia in wolof e francese, immergendosi nella cultura senegalese. L’approccio sfida l’eurocentrismo tradizionale, offrendo uno sguardo autentico sulle esperienze dei migranti. La necessità di un punto di vista interno emerge anche nella scelta di rendere la narrazione un’epopea di formazione contemporanea.
Il regista, noto per il suo (neo)realismo magico, trasforma la vicenda di Seydou in una fiaba, combinando epica e magia. L’inclusione di elementi onirici e surreali rende il racconto memorabile e mitizzabile, pur mantenendo un legame con la drammaticità della realtà. Questo stile narrativo non è nuovo per Garrone, che già ha esplorato l’immaginario fiabesco ne Il Racconto dei Racconti e Pinocchio.
Il film evita la retorica e il pietismo occidentale tipici dei film sul tema delle migrazioni. Garrone si distingue per il suo impegno a offrire uno sguardo più autentico e a rifuggire dalle semplificazioni eurocentriche. La natura, protagonista delle suggestive immagini di Paolo Carnera, diventa uno sfondo neutrale, ma contaminato dagli uomini e dai loro drammi. Garrone ci ricorda che non sono le terre, i mari o i cieli a creare confini, ma gli uomini stessi.
La scenografia magistrale di Garrone culmina in una scena finale intensa, dove lo sguardo magnetico di Seydou Sarr trasmette angoscia e liberazione, segnando il passaggio dalla fiaba alla realtà. Garrone sembra indicare che, se ci sarà un lieto fine, dipenderà dal mondo degli uomini, non più dalle fiabe. Con Io Capitano, Garrone consegna al pubblico una narrazione potente che sfida convenzioni e offre una prospettiva unica sull’immigrazione africana.
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