Il padre di Saman, Shabbar Abbas, recentemente estradato dal Pakistan, ha nuovamente negato ogni accusa riguardante l’omicidio della sua figlia, di cui è imputato insieme ad altri quattro parenti. La Procura di Reggio Emilia sostiene che la morte di Saman sia stata decisa dalla famiglia per punirla per la sua avversione a un matrimonio combinato, ma gli imputati respingono ogni addebito e insistono sulle rispettive posizioni di innocenza.
Il padre di Saman è giunto in Italia dopo una lunga odissea fatta di decine di rinvii sulla richiesta di consegna alle autorità italiane. Ora potrà prendere parte fisicamente al processo che si celebra anche a suo carico a Reggio Emilia, ma nega di aver ucciso la giovane e di essersi opposto alla storia d’amore tra lei e il fidanzato, Saqib.
Il processo per l’omicidio della 18enne, in cui sono imputati anche due cugini della vittima, Ikram Ijaz e Nomanulhaq Nomanulhaq, è ripartito il 8 settembre scorso. In questo quadro, Nazia Shaheen, madre di Saman Abbas, è l’unico tassello mancante dell’omicidio. Poche ore dopo il delitto è scappata in Pakistan insieme al marito. Da allora sono passati 28 mesi e della donna si sono perse le tracce.
Le energie degli inquirenti sono concentrate su di lei, in una corsa contro il tempo affinché possa essere giudicata “non in contumacia”. Quindi, anche per la mamma di Saman resta pendente la richiesta di estradizione. Il maggiore Maurizio Pallante, comandante del Nucleo investigativo dei carabinieri di Reggio, tra i primi a occuparsi del caso, assicura: “Non molleremo, come non abbiamo mai fatto in questo caso”.
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